AGI - E' arrivato il mandato di arresto europeo, esteso anche ai Paesi dell'area extra-Schegen, per Giacomo Bozzoli, da due giorni in fuga dall'ergastolo sancito dalla Cassazione per l'omicidio dello zio Mario. Fino a ieri c'era un certo ottimismo, riferisce una fonte, sulla possibilità che l'ex imprenditore tornasse spontaneamente a Brescia assieme alla compagna Antonella e al figlio di nove anni.
L'idea maturata in ambienti investigativi era che si fosse allontanato pensando di evitare al bambino, nel caso di una condanna, la scena di lui che veniva portato in manette in carcere. A chi gli stava vicino avrebbe fatto credere di partire per una vacanza. E' probabile che, tramite i legali, si fosse aperta un'interlocuzione con la Procura per agevolare il rimpatrio ma oggi i segnali sono stati meno incoraggianti e, di fronte all'atteggiamento più 'duro' del previsto da parte del fuggitivo, si sia deciso di imboccare con decisione la strada del Mae dopo che il giudice Roberto Spanò ha firmato il decreto di latitanza.
A spingere per una soluzione conciliante ci sarebbero anche mamma e papà di Antonella, preoccupati soprattutto per il piccolo, dai quali sarebbe arrivata l'informazione che i tre si sarebbero diretti verso la Francia. Ci sarebbero arrivati a bordo della Maserati di Bozzoli il cui passaggio è stato registrato dalle telecamere il 23 giugno poco prima delle sei ai varchi di Manerba e Desenzano.
La notizia dell'ordine di cattura potrebbe indurre Bozzoli, sentendosi 'braccato', a preferire un rientro spontaneo evitando il rischio di finire per qualche tempo in un carcere straniero sottoponendo i familiari che lo accompagnano a un altro trauma e scegliendo un istituto di 'suo' gradimento, come potrebbero essere quelli di Bollate o di Brescia.
Bozzoli è stato condannato al carcere a vita per avere ucciso lo zio Mario gettandone il cadavere nel forno della fonderia di famiglia la sera dell'8 ottobre 2015 nell'ambito di un procedimento indiziario, passato anche da una richiesta di archiviazione della Procura che si era vista poi avocare l'indagine dalla Procura Generale. Nei tre gradi di giudizio nessun giudice però ha avuto dubbi nel dichiarare la sua colpevolezza e individuare il movente in aspri rancori verso lo zio legati alla gestione dell'azienda.