AGI - "L'ho uccisa perché voleva vivere senza di me". Nella confessione agli inquirenti nel carcere di Verona, dov'è recluso, Filippo Turetta racconta nei dettagli l'aggressione a Giulia Cecchettin, gli stati d'animo suoi, la paura e il tentativo di fuga della ragazza di Vigonovo, determinata a essere libera. Il contenuto del verbale è stato rivelato in esclusiva ieri dal programma 'Quarto Grado'. Al pm di Venezia Andrea Petroni, Turetta ricostruisce la serata dell'11 novembre 2023 trascorsa a fare shopping e la cena in un centro commerciale a Marghera, poi il viaggio di ritorno con l'auto che si ferma in un parcheggio a 150 metri dalla casa di Giulia.
"Volevo darle un regalo, una scimmietta mostriciattolo. Con me avevo uno zainetto che conteneva altri regali: un'altra scimmietta di peluche, una lampada piccolina, un libretto d'illustrazione per bambini. Lei si è rifiutata di prenderlo. Abbiamo iniziato a discutere. Mi ha detto che ero troppo dipendente, troppo appiccicoso con lei. Voleva andare avanti, stava creando nuove relazioni, si stava sentendo con un altro ragazzo".
"Ho urlato che non era giusto, che avevo bisogno di lei, che mi sarei suicidato. Lei ha risposto che non sarebbe tornata con me. È scesa dalla macchina gridando: 'Sei matto, vaffanculo lasciami in pace'. Ero molto arrabbiato. Ho preso un coltello dalla tasca posteriore del sedile del guidatore, l'ho rincorsa, l'ho afferrata per un braccio tenendo il coltello nella mano destra. Lei urlava aiuto ed è caduta. Mi sono abbassato su di lei, le ho dato un colpo sul braccio, l'ho presa per le spalle mentre era per terra. Lei resisteva, ha sbattuto la testa. L'ho caricata sul sedile posteriore". Nel tragitto verso la zona industriale di Fossò, Giulia prova di nuovo a convincerlo di lasciarla stare.
"Mentre eravamo in macchina ha iniziato a dirmi 'sei pazzo, lasciami andare, cosa stai facendo'. La tenevo ferma con un braccio. Ho provato a metterle lo scotch sulla bocca. Si dimenava, è scesa ed ha iniziato a correre. Anche io sono sceso. Avevo due coltelli nella tasca in auto dietro al sedile del guidatore. Uno l'avevo lasciato cadere a Vigonovo: ho preso l'altro e l'ho rincorsa. Continuava a chiedere aiuto, le ho dato, non so, una decina, 12 o 13 colpi col coltello, volevo colpirla al collo, alle spalle, sulla testa sulla faccia e poi sulle braccia. Mi ricordo che era rivolta all'insu' verso di me. Si proteggeva con le braccia dove la stavo colpendo". L'ultima coltellata, secondo la sua narrazione, sarebbe stata sferrata sull'occhio.
"Giulia era come se non ci fosse piu', l'ho caricata sui sedili posteriori e siamo partiti. Avevo i vestiti abbastanza sporchi del suo sangue". Turetta abbandonera' il corpo dell'ex fidanzata in una zona isolata vicino al lago di Barcis per poi fuggire in macchina fino in Germania. Il giovane confessa ma prova a convincere il magistrato che non ci fu premeditazione. "Lo scotch lo tenevo sempre in macchina, i coltelli anche perchè avevo pensieri suicidi". Viene approfondito il tema della fuga.
"Questo - dice riferendosi ad alcune immagini che gli vengono mostrate - sono io al distributore di Cortina. I vestiti sporchi di sangue li ho cambiati con altri che avevo in macchina. In auto ho sempre un cambio, coperte, qualcosa da mangiare o da bere. Ho imboccato la strada per Barcis, mi sono fermato in un punto in cui non c'erano case, sono rimasto un pò li' ho provato anche con un sacchetto a soffocarmi però anche dopo averlo legato con lo scotch non ci sono riuscito. Pensavo che se avessi fumato e bevuto sambuca sarebbe stato più facile suicidarmi, invece ho vomitato in macchina. Allora ho riacceso il telefono, cercavo notizie che mi facessero stare abbastanza male da avere il coraggio per suicidarmi ma ho letto che i miei genitori speravano di trovarmi ancora vivo e ciò ha avuto l'effetto opposto: mi sono rassegnato a non suicidarmi più e a essere arrestato".
Nell'interrogatorio davanti al pm Andrea Petroni, Turetta racconta di avere "accennato" a uno psicologo dei suoi "intenti autolesionistici". "Tutti gli amici, conoscenti che avevo sapevano, chi più, chi meno, dei problemi che avevamo avuto, del fatto che ci fossimo lasciati. Poi ne avevo parlato con uno psicologo da cui andavo". Allo psicologo, spiega, "avevo riferito che stavo molto male, non avevo più voglia di fare niente". Il pm prova ad approfondire e Turetta dice che sì, aveva "accennato" alla possibilità di farsi del male, però, aggiunge: "Non mi sembra che avessimo dialogato molto su questo tema specifico". "Questo è importante, sai? È molto importante. Un conto è dire sto male, un altro 'mi voglio suicidare'" lo incalza il suo avvocato Giovanni Caruso. Turetta precisa: "In modo deciso e proprio dicendoglielo esplicitamente no. Magari gli avevo accennato che avevo avuto il pensiero che ci avevo pensato pero'". Il rapporto con lo psicologo, aggiunge, "non si era concluso, avremmo dovuto vederci due settimane dopo, a fine novembre".