AGI - Una vita di eccessi, ostentazione, vanità e avidità. Un tesoro di un miliardo e ottocento milioni di euro. Accumulati grazie alle abilità di "fenomenale imbonitore e ottimo motivatore", investiti (forse male), spesi (sicuramente male) e infine spariti chissà dove. E una morte misteriosa, in circostanze inspiegabili e per qualcuno incredibile. E' "Ingordigia. Vita, morte e truffe del broke dei vip" (Mondadori, 204 pp, 19 euro), il libro in cui Gigi Riva racconta la storia di Massimo Bochicchio, noto appunto come il truffatore dei vip a Roma. Ma le sue vittime non erano solo della capitale. La sua capacità di imbonitore colpiva chiunque e ovunque, da Montecarlo a Londra, da Capalbio a Cortina.
Nella sua rete sono finiti imprenditori ed ereditieri, calciatori e allenatori, diplomatici e alti funzionari, ma anche piccoli professionisti e persino qualche studente di economia conosciuto in spiaggia. Bocchicchio non risparmiava nessuno. Lo faceva per soldi ma forse anche per sfida, sempre più convinto della propria invincibilità. Al punto da arrivare a credere lui stesso alle favole raccontate alle proprie prede. O forse come un giocatore di poker che continua a rilanciare nella speranza di recuperare le perdite. Non è stato così.
La storia personale di Bochicchio - "Er Fanfara" - si schianta contro il muro perimetriale dell'aeroporto dell'Urbe, la mattina di una domenica assolata di giugno, il giorno prima dell'udienza che lo avrebbe portato a fare i conti con le denunce di trentasette clienti. Doveva rispondere di riciclaggio, abusiva attività finanziaria, truffa e appropriazione indebita. Le vittime erano certamente più di trentasette. Qualcuno non ha denunciato perché a Bochicchio aveva affidato fondi celati allo Stato, lasciandosi tentare un anominato dorato nei paradisi fiscali. Altri - ancora - non si rassegnano a essere vittime. Colpiti da una forma di sindrome di Stoccolma restano convinti che il loro broker di fiducia tornerà e riporterà il malloppo con i meritati interessi a doppia cifra.
Riva - autorevole firma della letteratura del vero - racconta la storia che non ha ottenuto il risalto che meriterebbe nelle cronache nazionali. Probabilmente perché riguarda in buona parte quella classe elitaria, quel club esclusivo, dove il passaparola conta più di ogni presentazione e dove la riservatezza è la parola d'ordine. Dove "tutto resta racchiuso entro i confini di un ambiente in cui si considera volgare che ciò che riguarda i soldi, gli affari, diventi di dominio pubblico".