AGI - È morto Vincenzo Agostino, il papà dell'agente della Polizia di Stato Nino, ucciso da Cosa Nostra assieme alla moglie Ida Castelluccio, l'8 agosto 1989. Vincenzo Agostino, nato il 22 marzo 1937, era il papà coraggio, che non si era mai rassegnato alla morte del figlio e della nuora - incinta di qualche mese - e aveva da subito denunciato i tentativi di depistaggio legati al duplice omicidio. Aveva una lunga barba bianca che - aveva detto - "non avrebbe più tagliato" fino a quando non sarebbe emersa la verità sui mandanti del duplice omicidio, sui silenzi e soprattutto sui depistaggi alle indagini. Vincenzo ha continuato a combattere per il figlio anche dopo la morte di sua moglie, Augusta Schiera, avvenuta a febbraio 2019.
Della morte di Nino e di Ida - per cui furono molteplici le piste investigative, di cui alcune totalmente depistanti - sono state accusate tre persone, tra le quali il boss di Resuttana Nino Madonia, il killer preferito da Toto' Riina, che ha optato per il rito abbreviato e nel 2021 è stato condannato all'ergastolo, confermato anche in appello il 5 ottobre scorso. Anche quel giorno Vincenzo - accompagnato dalle figlie, dai nipoti e dalla sua inseparabile scorta ma senza piu' la moglie Augusta - si presento' al palazzo di giustizia di Palermo.
Dopo la sentenza, Vincenzo Agostino - con la sua barba bianca e il passo lento ma deciso agevolato da un bastone - fu netto, come sempre: "Sono soddisfatto perché hanno condannato il macellaio di mio figlio e di mia nuora. Soddisfatto anche per mia moglie, desideravo tanto che ci fosse anche lei accanto a me. Ora toglierò la scritta sulla sua lapide 'morta in attesa di verità e giustizia'. Si sta avvicinando il giorno in cui potrei tagliare la barba, perché si avvia a conclusione anche il procedimento ordinario, in caso di condanna posso dire che quel giorno posso mantenere la promessa che ho fatto sulla tomba di mio figlio". "Oggi - aveva scritto su Facebook il mese prima rivolgendosi alla moglie - avremmo festeggiato 64 anni di matrimonio. Ogni secondo senza di te è un'agonia, mi manchi infinitamente. Continuerò ad amarti, sempre tuo, Vincenzo".Gli altri due imputati - sotto processo con il rito ordinario - sono il boss dell'Arenella Gaetano Scotto, accusato del duplice omicidio aggravato, e Francesco Paolo Rizzuto, uno amico di Nino Agostino, accusato di favoreggiamento. Anche in questo procedimento Vincenzo - costituitosi parte civile, assistito dall'avvocato Fabio Repici e con lui anche le figlie, i nipoti e i familiari di Ida Castelluccio, tra gli altri - ha sempre voluto essere presente, a ogni udienza, nonostante gli acciacchi dovuti all'età. Assisterà da altrove alla sentenza, essendo il processo alle battute finali: hanno già discusso le parti civili, il 3 maggio e il 21 sono in programma gli interventi dei difensori degli imputati e poi la Corte d'assise, presieduta da Sergio Gulotta, dovrebbe ritirarsi in camera di consiglio per la sentenza.
Nino Agostino, il poliziotto che dava la caccia ai latitanti
Nino Agostino era un agente in servizio al commissariato San Lorenzo di Palermo che avrebbe fatto parte, inoltre, di un gruppo che collaborava con i Servizi segreti per la cattura dei latitanti mafiosi. Questa sarebbe stata la causa della sua morte decisa da Cosa nostra. I molteplici depistaggi alle indagini, sono venuti alla luce anche grazie alla perseveranza di Vincenzo Agostino e di sua moglie Augusta Schiera. Un momento, importante, in questa lunga e faticosa battaglia di verità, fu il 26 febbraio 2016, quando nell'aula bunker del carcere Ucciardone ci fu un drammatico riconoscimento all'americana. Vincenzo riconobbe in "faccia da mostro" Giovanni Aiello, ex poliziotto e ritenuto killer che orbitava tra servizi e criminalità: "Io ho fatto il mio dovere. Ora - disse al termine di quella giornata - tocca alla magistratura. Ho riconosciuto faccia da mostro anche se era ben truccato. Erano in tre per il confronto ma l'ho riconosciuto subito. Come ho detto in tutti questi anni quella faccia è indimenticabile". Vincenzo Agostino, infatti, aveva raccontato ai magistrati che qualche giorno prima del delitto in due erano venuti a cercare suo figlio nella casa di Carini, si qualificarono come colleghi e uno aveva un volto butterato, da mostro. "Indimenticabile", appunto.
Don Ciotti, quella barba lunga come la sofferenza
"Una barba lunga come lunga è stata la sofferenza di Vincenzo: 35 anni di lutto per un figlio ammazzato dalla mafia. Era il suo tratto distintivo, che ce lo faceva riconoscere in mezzo alla folla nelle manifestazioni e negli incontri pubblici. Quella barba la vogliamo oggi ricordare come il segno della costanza di Vincenzo, della sua determinazione nel cercare verità e giustizia per suo figlio, sua nuora e il loro bambino mai nato. La scelta di non tagliarsi la barba, finché non avesse ottenuto risposte chiare dallo Stato, negli anni lo ha reso una figura simbolica agli occhi di tante altre persone nella stessa situazione". Lo dichiara in una nota don Luigi Ciotti, presidente Libera.
"Ecco - scrive - tutti speriamo che quella lunga, insopportabile attesa non sia stata vana. Fra poche settimane si chiuderà l'ultimo dei processi ancora in corso sul delitto Agostino, dopo che alcune condanne sono già state emesse. Il nostro saluto a Vincenzo è reso meno amaro dalla consapevolezza che il risultato inseguito per tutti questi anni è finalmente a portata di mano. E dalla gratitudine che proviamo perché, attraverso il suo esempio, tante altre persone e famiglie hanno trovato la forza di trasformare la memoria sofferente in un impegno di speranza", aggiunge.