AGI - Esemplari di granchio blu, specie aliena particolarmente invasiva, sono stati scoperti nella grotta del Bue Marino, in Sardegna, dove gli speleosub volontari dell'associazione Phreatic Aps dall'anno scorso supportano i ricercatori della Società speleologica italiana nel monitoraggio del sito. E' la prima volta che questo predatore viene avvistato in grotta.
"E' il primo anno che osserviamo il granchio blu nei mari del Golfo di Orosei", riferisce Andrea Marassich, speleosub e presidente della Phreatic, "ma non avremmo mai pensato di trovare diversi esemplari anche in grotta. Per di più si sono addentrati a oltre mezzo chilometro dall'ingresso e in due rami del sistema. Siamo rimasti stupiti e abbiamo immediatamente allertato i ricercatori".
Il Callinectes sapidus, noto come granchio nuotatore blu atlantico, è un crotaceo originario del versante americano dell'Oceano Atlantico, arrivato nel Mediterraneo attraverso le acque di zavorra delle navi commerciali.
"Siamo davanti a una grave e concreta minaccia per l'ecosistema", spiega Fabio Stoch, ricercatore alla Libera Università di Bruxelles, biospeleologo coinvolto nel progetto di monitoraggio del Bue Marino, "perchè il granchio blu è un predatore di grosse dimensioni e non ci aspettavamo si spingesse nelle grotte, che sono ambienti hanno scarse risorse alimentari".
"Invece il granchio blu c'è e si adatta, e averlo trovato così distante dall'ingresso ci fa capire quanto questa specie aliena possa essere invasiva", aggiunge Stoch. "Se inizia a riprodursi e a invadere quegli spazi con costanza, potrebbe causare la scomparsa delle specie endemiche, ovvero esclusive di quella grotta, che esistono in comunità piccole e fragili, e quindi portare alla distruzione dell'intero habitat, con una reazione a catena che influenzerebbe tutto l'ambiente circostante".
La presenza del granchio blu nella grotta del Bue Marino non sembra occasionale o sporadica; gli esemplari sono stati trovati a diverse distanze, a oltre 500 metri dall'ingresso, sia nel Ramo Nord che nel Ramo di Mezzo. L'habitat delle grotte marine è di interesse comunitario.
"Nel caso specifico del Bue Marino, l'uso di nasse può liberare dagli esemplari più grossi i primi tratti delle gallerie, però servirebbe un intervento piu' che mai tempestivo e ripetuto nel tempo, prima che sia troppo tardi", invoca Stoch, "ma sono pessimista al riguardo, e in più bisognerebbe estendere i monitoraggi biologici ad altre grotte marine".
Gli speleosub hanno raccolto campioni lungo il percorso infestato dalla specie aliena per permettere agli studiosi di capire ciò che attira il granchio blu in quell'ambiente estremo.
La Grotta del Bue Marino è famosa a livello internazionale in quanto ultimo sito di riproduzione conosciuto per la foca monaca in Italia; con uno sviluppo esplorato di oltre 20 km, fa parte di un vasto e articolato sistema carsico che attualmente si estende per oltre 70 km e che ricopre un'area complessiva di quasi 29.000 ettari tra i comuni di Baunei, Dorgali e Urzulei.
La grotta, già frequentata in epoca neo-eneolitica (circa 4.000 a.C.), da oltre 50 anni è visitata da decine di migliaia di persone (almeno nella sua parte turistica) e da speleologi provenienti da tutto il mondo.
Prima dell'inizio dei monitoraggi da parte della Società Speleologica Italiana, nella Grotta del Bue Marino erano riportate ben 50 specie animali, di cui 28 considerate sotterranee, acquatiche o terrestri; questa analisi già poneva la cavità ai primi posti per biodiversità sotterranea in Italia e nel mondo: le grotte con 25 o più specie sono considerate 'hotspot di biodiversità' a livello mondiale.
Nel 2019 erano note solamente 24 di queste grotte in tutto il mondo, di cui 16 nella zona temperata. Durante i più recenti monitoraggi della Società Speleologica Italiana sono state complessivamente raccolte e identificate almeno altre 21 specie, prevalentemente marine (e in piccola parte legate ad acque anchialine) che non erano mai state rilevate prima e si aggiungono alla lista precedente.