AGI - L'inchiesta della Dda di Milano sulla presunta esistenza di un "sistema mafioso lombardo" che vedrebbe in Lombardia un'alleanza tra esponenti di cosa nostra, 'ndrangheta e camorra è stata smontata dal gip di Milano Tommaso Perna. Il giudice, con un'ordinanza di custodia cautelare, ha concesso solo 11 misure in carcere e rigettato la richiesta per altri 142 indagati.
"Non è stato possibile ricavare l'esistenza di un'associazione di tipo confederativo che raggruppa al suo interno le diverse componenti criminali - sottolinea il giudice - Quel che è del tutto assente nella presente indagine, da una parte, è la prova dell'esistenza del vincolo associativo tra tutti i sodali rispetto al sodalizio consortile, dall'altra, dell'esternazione del metodo mafioso che deve caratterizzare l'unione tra persone e beni, tale da assurgere al rango di un fatto penalmente rilevante".
Secondo il gip, dall'inchiesta condotta dai carabinieri del nucleo investigativo di Milano, invece, "è emersa la presenza di contatti tra alcuni appartenenti alle singole componenti criminali, per lo più basati su specifiche conoscenze personali e in ogni caso afferenti a cointeressenze rispetto a singoli affari, talvolta leciti e talaltra illeciti, circostanza questa, che diversamente da quanto ipotizzato dalla pubblica accusa, non costituisce un elemento innovativo nel contesto lombardo". La pm Alessandra Cerreti - da quanto appreso - ha impugnato l'ordinanza davanti al Tribunale del Riesame.
Tra gli indagati figura anche il pregiudicato per mafia Paolo Aurelio Errante Parrino, 76 anni, ritenuto il punto di riferimento del mandamento di Castelvetrano nel Nord Italia. Secondo la pm Alessandra Cerreti, avrebbe mantenuto i rapporti con Matteo Messina Denaro "rappresentando il punto di raccordo tra il sistema mafioso lombardo e l'ex latitante", scomparso lo scorso 25 settembre, "a lui trasferendo comunicazione relative ad argomenti esiziali per l'associazione mafiosa". Per lui i pm dell'antimafia avevano chiesto la custodia cautelare in carcere. Istanza respinta dal gip.
Sono state le dichiarazioni del pentito Emanuele De Castro, figura di vertice della "locale" di 'ndrangheta di Lonate Pozzolo (Varese) arrestato nel 2019 nell'operazione "Krimisa", a dare impulso alla maxi inchiesta della Dda e dei Carabinieri del nucleo investigativo di Milano sull'esistenza di un presunto "sistema mafioso lombardo". È quanto emerge dall'ordinanza di custodia cautelare del gip di Milano Tommaso Perna. In particolare, De Castro avrebbe fornito alla procuratrice aggiunta Alessandra Dolci e alla pm Alessandra Cerreti i nomi di Massimo Rosi (arrestato) e Gaetano Cantarella, detto 'Tanu u' curtu', dal cui monitoraggio gli inquirenti sarebbero partiti per ricostruire i legami tra i vari esponenti dei clan di Cosa Nostra, 'ndrangheta e camorra.
A Rosi, 37enne con precedenti, è stato attribuito un ruolo centrale nella "creazione di un sistema mafioso di tipo trasversale". Una ricostruzione non condivisa dal gip che ha ritenuto, invece, che Rosi abbia agito "soprattutto nel settore del narcotraffico" in qualità di "componente apicale della locale di Legnano-Lonate Pozzolo, talvolta interagendo con singoli esponenti di altri gruppi".
"Le indagini hanno svelato l'esistenza di una organizzazione a struttura orizzontale all'interno della quale non esiste un vertice, ma più gruppi che si muovono parallelamente e che, in virtù di un accordo preventivo, assumono determinazione comuni funzionali allo sviluppo dell'associazione stessa". È quanto sostiene la pm della Dda di Milano, Alessandra Cerreti, negli atti della maxi inchiesta condotta dai Carabinieri del nucleo investigativo che ha portato all'esecuzione di 11 misure cautelari in carcere, alla notifica 153 avvisi di chiusura delle indagini e al sequestro preventivo di beni per oltre 225 milioni di euro. In questo contesto, - osserva il magistrato inquirente, "anche le diatribe tra le diverse componenti", come, ad esempio, quella tra Gioacchino Amico, presunto referente del clan Senese con i Pace della componente castelvetranese, "trovano una soluzione funzionale e necessaria a mantenere in vita quell'accordo () che consente, a tutti, di trarre profitto".