AGI - "Le casse di espansione? In Emilia sono insufficienti, alla luce del cambiamento climatico, del fatto che per esempio in origine sono state pensate per un evento molto intenso di tipo duecentennale, ovvero che in media ce lo aspettiamo una volta ogni duecento anni. Appunto, un evento molto raro", dice il professor Armando Brath, docente presso il Dipartimento di ingegneria Civile, Chimica, Ambientale e dei Materiali all'Alma Mater Studiorum, l'Università di Bologna, grande esperto in materia.
Professore, significa che sono opere dal punto di vista tecnologico superate?
"Significa che sono state pensate per degli eventi straordinari mentre la rete a valle più della trentennale è difficilmente piena. Avvenimenti più frequenti e quindi molto meno intensi. Quindi abbiamo ottimizzato queste opere su degli eventi molto rari ma quando arrivano quelli meno rari, intensi, le opere non è che non sono efficaci ma lo sono di meno".
E sul territorio emiliano romagnolo quante ce ne sono?
"In Romagna non ce ne sono affatto mentre l'Emilia è più dotata. E anche se sono state ipotizzate, poi non sono state portate a termine per tutta una serie di motivi. Perciò il sistema è fragile e la rete non sopporta più di venti, trent'anni di tempo di ritorno, a cui vanno aggiunte le conseguenze del cambiamento climatico. Per cui quelli che noi pensavamo fossero trent'anni di tempo sono magari diventati invece 15. Si sono accorciati i tempi della riproposizione degli eventi emergenziali. Più frequenti e anche più intensi".
Nel suo complesso, l'Italia come e quanto è dotata di queste opere idrauliche preventive?
"La zona dove ci sono più casse di espansione è storicamente l'Emilia, perché tutti gli affluenti ne dispongono".
E come mai, rispetto a tutto il resto del territorio?
"È dovuto al fatto che nel 1973 ci sono state importanti alluvioni nella zona del modenese e l'Agenzia interregionale del Po ha reagito con l'approntare queste opere, che furono anche ben volute e quasi richieste dalla popolazione. Dopo di che questa tradizione, partita da Modena, si è un po' espansa verso Nord, a Parma, Reggio Emilia, però si tratta di casse che andrebbero un pò ripensate oggi".
Alla luce degli eventi e anche delle tecnologie?
"Sì, del fatto climatico, del fatto che ci si è resi conto che a valle il sistema porta meno di quello che si poteva pensare".
Le casse di contenimento sono molto ingombranti, occupano spazio sul territorio?
"Il problema è che siamo un Paese dove il territorio è poco conforme, un pò siamo vittime della sindrome di Nimby: si faccia ovunque ma 'non a casa mia'. E poi c'è pure la 'sindrome degli amministratori', per i quali queste opere non hanno immediato ritorno politico.
Ovvero, se realizzo una rotatoria questa si vede e ci metto poco a realizzarla, se invece realizzo una cassa di espansione, intanto occupa il territorio e se va bene gli effetti li si vedrà solo nel futuro Non sono opere molto popolari, non c'è redditività politica immediata. E poi siamo un Paese complicato in ogni caso nella realizzazione delle opere e i cittadini sono poco propensi ad accoglierle sui propri territori".
Come a dire, subito o mai più
"Quindi o si insegue il ricordo caldo di eventi disastrosi oppure quando si perde la memoria e l'attualità del momento diventa difficile realizzare gli interventi che in ogni caso richiedono la disponibilità di grosse superfici di terreno. Se ci si vuole fare un'idea basta cliccare su Google Heart la voce 'cassa di espansione del Secchia' e ci si rende conto di quanta porzione di territorio occupi. Ci vuole molta disponibilità di terreno".
Si tratta di interventi economicamente rilevanti?
"Sì, sono anche opere costose. Il costo grosso è legato all'esproprio dei terreni, ma poi sono opere che non richiedono grandi interventi ingegneristici: si tratta d'una cassa di contenimento, bisogna fare degli argini che non costano molto, ma l'incidenza maggiore è dovuta agli espropri, quindi possono costare nell'ordine di diverse decine di milioni di euro, ma se la cosa è importante anche qualche centinaio".
Ma se l'afflusso d'acqua fosse imponente, anche le casse di espansione potrebbero avere un problema di contenimento, quindi tracimare?
"No, c'è un meccanismo di sicurezza per cui sostanzialmente questa eventualità è contemplata e contrastata. Oltre un tot la cassa non raccoglie e non va e poi c'e' una regolamentazione per cui l'eccezionalità è contemplata".
In ultima analisi, la cassa di espansione sarebbe la soluzione ottimale?
"Il problema vero è che il territorio è cambiato molto in termini di urbanizzazione ma anche di antropizzazione, quindi sono aumentati molto i volumi che arrivano ai corsi d'acqua. Anche ammesso che piova come prima, i volumi sono cresciuti per effetto dell'antropizzazione del territorio. Ci sono corsi d'acqua che hanno argini altissimi, nella parte di valle si arriva anche a 15 metri di altezza, una diga praticamente. E non è che si possa alzare ancora. Ma per venire alla sua domanda, le casse di espansione ci vogliono".