AGI - "La sparizione dell'agenda rossa non è riconducibile a una attività materiale di Cosa nostra". Lo scrivono i giudici del tribunale di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza del processo per il depistaggio delle indagini a carico di tre poliziotti. Il tribunale dichiarò prescritte le accuse contestate a Mario Bo e Fabrizio Mattei, due dei tre poliziotti finiti sotto processo, e assolse il terzo imputato, Michele Ribaudo.
"A meno di non ipotizzare scenari inverosimili - scrivono i giudici - di appartenenti a Cosa nostra che si aggirano in mezzo a decine di esponenti delle forze dell'ordine, può ritenersi certo che la sparizione dell'agenda rossa non è riconducibile a una attività materiale di Cosa nostra". Ne discendono, per i giudici, "due ulteriori logiche conseguenze.
In primo luogo, l'appartenenza istituzionale di chi ebbe a sottrarre materialmente l'agenda. Gli elementi in capo non consentono l'esatta individuazione della persona fisica che procedette all'asportazione dell'agenda senza cadere nella pletora delle alternative logicamente possibili, ma è indubbio che può essersi trattato solo di chi, per funzioni ricoperte, poteva intervenire indisturbato in quel determinato contesto spazio-temporale e per conoscenze pregresse sapeva cosa era necessario e opportuno sottrarre".
Alla strage parteciparono esponenti delle istituzioni
Altri soggetti diversi da Cosa nostra avrebbero partecipato alla strage di via D'Amelio. E' quanto emerge dalle motivazioni della sentenza.
"L'istruttoria dibattimentale - spiegano i giudici - ha consentito di apprezzare una serie di elementi utili a dare concretezza alla tesi della partecipazione (morale e materiale) alla strage di via D'Amelio di altri soggetti (diversi da Cosa nostra) e/o di gruppi di potere interessati all'eliminazione di Paolo Borsellino".
I giudici parlano di "anomala tempistica della strage di via D'Amelio (avvenuta a soli 57 giorni da quella di Capaci)" e della "presenza riferita dal pentito Gaspare Spatuzza di una persona estranea alla mafia al momento della consegna della Fiat 126 imbottita di tritolo e la sparizione dell'agenda rossa di Paolo Borsellino.
Non è aleatorio sostenere che la tempistica della strage di Via D'Amelio rappresenta un elemento di anomalia rispetto al tradizionale contegno di Cosa nostra volto, di regola, a diluire nel tempo le sue azioni delittuose nel caso di bersagli istituzionali (soprattutto nel caso di magistrati) e ciò nella logica di frenare l'attività di reazione delle istituzioni".
"La presenza anomala e misteriosa di un soggetto estraneo a Cosa nostra - concludono - si spiega solo alla luce dell'appartenenza istituzionale del soggetto, non potendo logicamente spiegarsi altrimenti il fatto di consentire a un terzo estraneo alla consorteria mafiosa di venire a conoscenza di circostanze così delicate e pregiudizievoli per i soggetti coinvolti come la preparazione dell'autobomba destinata all'uccisione di Paolo Borsellino".
Silenzi e amnesie
"Non vi sarebbero state testimonianze integralmente genuine". Scrivono i giudiici che sottolineano "l'obiettiva ritrosia di molti soggetti escussi - non solo spettatori degli avvenimenti dell'epoca, ma anche attori, più o meno centrali, delle vicende oggetto di esame - a rendere testimonianze integralmente genuine che potessero consentire una ricostruzione processuale dei fatti che fosse il più possibile vicina alla realtà di quegli accadimenti".
Il tribunale punta il dito soprattutto nei confronti del gruppo investigativo Falcone-Borsellino. "Tra amnesie generalizzate di molti soggetti appartenenti alle istituzioni (soprattutto i componenti del Gruppo investigativo specializzato Falcone-Borsellino della polizia di Stato), e dichiarazioni testimoniali palesemente smentite da risultanze oggettive e da inspiegabili incongruenze logiche, l'accertamento istruttorio - spiegano i giudici - sconta gli inevitabili limiti derivanti dal velo di reticenza cucito da diverse fonti dichiarative, rispetto alle quali si profila problematico e insoddisfacente il riscontro incrociato".
"Senza la successiva collaborazione di Gaspare Spatuzza, della falsità della collaborazione di Vincenzo Scarantino (e della falsa ricostruzione della strage di Via D'Amelio che ne è derivata) non si sarebbe acquisita certezza. Tale circostanza deve fare riflettere sulle possibili disfunzioni, sotto il profilo dell'accertamento della verità, di vicende processuali incentrate prevalentemente su prove di natura dichiarativa provenienti da soggetti che collaborano con la giustizia".