AGI - Un’allocazione più efficiente delle risorse, il superamento della logica dei silos nelle politiche per la salute, la revisione del numero chiuso a Medicina a patto che si potenzino i fondi per le università, l’urgenza di formare nuovo personale. A fare da sfondo il cambiamento culturale sulla necessità di un approccio olistico in materia di politiche per la salute pubblica, quello che oltreoceano chiamano one health e su cui la pandemia ha acceso i riflettori in Italia, con il Pnrr che può essere il cavallo di Troia per la medicina di prossimità. Specie nelle città dove – secondo dati Ocse e Oms – vivranno sempre più persone. Agi ne ha parlato con Eleonora Mazzoni, neo-direttrice generale dell’Health City Institute, un health tank no profit, apartitico e indipendente che studia i determinanti della salute nelle città. Nato per occuparsi nello specifico della correlazione tra ambiente urbano e alcune malattie croniche, come il diabete, ha poi allargato il raggio d’azione allo studio dei determinanti e delle condizioni di salute più in generale. Costante anche il lavoro svolto a supporto di specifici intergruppi parlamentari. Nel 2016 il centro ha redatto il manifesto ‘Salute nelle città bene comune’ e il prossimo 14 marzo presenterà il primo aggiornamento post-pandemia di Covid-19.
L’Organizzazione mondiale della sanità, sin dall’atto della sua costituzione nel 1948, definisce la salute “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, e non la semplice assenza dello stato di malattia o di infermità”. È quello che voi e molti altri definite approccio olistico alla salute.
Esattamente. L’Health City Institute nasce come luogo di idee che riunisce al suo interno professionisti provenienti da diverse realtà del pubblico e del privato. Istat, Censis, Anci, l’Istituto per la competività I-Com, società scientifiche che si occupano di malattie croniche, e poi esperti di programmazione urbana con competenze di architettura. L’obiettivo è proprio quello di riunire competenze diverse, consapevoli che tutte le politiche pubbliche hanno un effetto sulla salute.
Non solo quelle sanitarie quindi.
No, infatti. Quelli che chiamiamo determinanti della salute sono diversi e non sono solo di carattere sanitario. Sulla salute hanno effetto le caratteristiche sociali ed economiche dei gruppi di popolazione, l’ambiente in cui si vive, uno stile di vita sano, l’esposizione a fattori di rischio ambientali come l’inquinamento. Tutto questo insieme genera un effetto di lungo periodo sulla salute e sulla capacità del sistema di essere anche economicamente sostenibile. Una popolazione più sana in tutte le diverse fasce d’era fa bene a tutto il sistema.
L’istituto basa il suo lavoro su queste premesse per portarle nei nuclei delle città?
Sì, per due ragioni fondamentali. La prima è che la città è un campione molto significativo di come le determinanti di salute interagiscono tra loro, soprattutto nei grandi centri urbani dove convivono e si evidenziano reciprocamente. La seconda ragione, collegata alla prima, è che, come sottolineato anche da Oms e Ocse, ci si aspetta che circa il 70% della popolazione mondiale nei prossimi anni vivrà in grandi centri urbani. Basti pensare che in Italia, nelle sole 14 città metropolitane, vive circa il 35% della popolazione italiana. Questo dato ci fa capire come i centri urbani siano sintesi (di tutto questo, ndr).
Ritenete che stia prendendo piede questo approccio alla salute, complice magari anche la pandemia?
Sì. il cambiamento culturale è significativo e le organizzazioni internazionali hanno fatto tantissimo in questo senso. E sì, la pandemia ha accelerato tutto questo, tanto è vero che l’abbiamo chiamata sindemia, sociodemia, cioè con tutti quei termini che hanno evidenziato come non fosse una crisi solo legata alla diffusione del virus. Altrimenti come si spiegherebbero i problemi legati all’isolamento, alla salute mentale, alla mancanza di relazioni che poi si sono aggiunti?
Ha più che accelerato la pandemia allora…
Sì, ha fatto proprio da detonatore rispetto a questa consapevolezza, che però si scontra con un sistema che è inscatolato, dal punto di vista amministrativo ed economico-finanziario, ancora in silos.
Puoi spiegarti meglio?
Noi siamo abituati a parlare di Servizio sanitario nazionale e a vedere la sanità come un silos, un compartimento della spesa pubblica, della nostra spesa per il welfare. Ma la sanità è una parte della salute. Fortunatamente, da anni, sia sul piano nazionale che internazionale, in molti ci stiamo muovendo per far uscire la salute dai silos, affrontandola invece secondo approccio one health. A partire dal bilancio dello Stato, dove la spesa sanitaria è ancora spesa corrente e quindi non viene messa a bilancio come un investimento che può essere ammortizzato. Anche all’interno della Ragioneria dello Stato si fanno tante valutazioni d’impatto di questo tipo. Quindi se da un lato manca una sintesi tra questa consapevolezza e come tradurla in meccanismi e scelte economico-finanziarie, dall’altro appunto questa consapevolezza c’è. Morale: bisogna inventarsi dei modelli innovativi per allocare le risorse – non infinite – in modo efficiente. Ad esempio, si potrebbe decidere di allocare risorse nella maniera più utile pensando a quelle che hanno un maggiore impatto nel lungo periodo anche su altre voci.
E quanto velocemente si sta andando in questa direzione?
In generale poco, ma come sempre prima avviene il cambiamento culturale, che ripeto sta andando piuttosto velocemente, e dopo, piano piano, le cose accadono. Il Pnrr peraltro ci darà una mano. Se pensi alla riforma dell’assistenza di prossimità, adesso voluta come collegata al Pnrr, almeno la visione che contiene va verso questo concetto. Certo è che mancano le persone e le competenze.
Si parla di una carenza di medici nel SSN da diverse migliaia di unità. E il numero chiuso a Medicina?
Posto che posso rispondere solo a titolo personale, io sono d’accordo sull’apertura delle facoltà, a patto però che le università vengano messe in grado di accogliere il numero crescente di persone che arriva. Su questo ho dei dubbi, perché i finanziamenti non sono aumentati in maniera così significativa. Dopodiché, però, non è nemmeno ancora stata fatta una progettazione delle competenze e di dove vanno allocate all’interno delle nuove strutture immaginate dalla riforma sanitaria, mi riferisco alle case di comunità, agli ospedali di comunità, alle Cot. Il rischio è che si vadano a costruire questi nuovi centri, di fatto cambiando tutto per non cambiare niente, cioè facendoli restare un po’ cattedrali nel deserto.
Parli di cattedrali nel deserto: come avete accolto questa riforma?
Per la Lombardia, ad esempio, è estremamente importante perché era uno dei sistemi sanitari più concentrati sul modello dell’assistenza ospedaliera. Modello che abbiamo visto fallire durante la pandemia, quindi la riforma diventa estremamente rilevante anche dal punto di vista dell’organizzazione delle città. Però da tanto più lontano si parte nel raggiungimento di un obiettivo quanto più è importante affrettarsi per avvicinarcisi.
Enti locali: chi fa meglio e chi fa peggio in materia di salute pubblica?
In un’ottica generale, diciamo che una risposta di intento e interesse c’è ed è abbastanza omogenea. Anche grazie alla stretta collaborazione con Anci, noi abbiamo stretto tantissimi accordi e protocolli d’intesa con molti comuni italiani di tutte le dimensioni che si impegnano quotidianamente per rendere le loro città ambienti più salutari. È stato così per Roma, Genova, Milano, Torino, Bari, Bologna. Poi è anche vero che purtroppo ci continuiamo a portare dietro differenze di carattere geografico e dimensionali, con molte città del Centro-Nord Italia che fanno meglio rispetto al Mezzogiorno e i comuni di più piccole dimensioni rispetto alle grandi città.
Devo dire, però, che ci sono delle eccezioni: ad esempio, la Puglia è stata una delle regioni pivot per la sperimentazione sulla parte della piattaforma nazionale di telemedicina e quindi ora in Puglia, con il Pnrr, moltissime amministrazioni locali, a partire delle indicazioni delle direzioni regionali, si sono mosse molto bene da questo punto di vista.