AGI - Il momento della giornata preferito da Svetlana, costumista 49enne, è metà pomeriggio, quando riesce ad incontrare le amiche connazionali che con lei vivono da quasi un anno a Bitonto, nel Barese. Sedute ad un tavolino riescono a parlare dell’Ucraina, di quello che accade, dei messaggi che arrivano dai parenti al fronte, impegnati a combattere. Svetlana con la sua famiglia, i figli Lisa (26 anni) e Sviatik (13 anni) e la nipotina Kira (5 anni), è scappata da Dniepr, città a 500 chilometri da Kiev il 4 marzo scorso.
«Abbiamo percorso 630 chilometri a piedi per raggiungere la frontiera rumena – ci racconta -. Tra i controlli continui, ricordo nitidamente di un piccolo ponticello: da un lato e dall’altro c’erano boschi infiniti e l’eco delle bombe si faceva sempre più forte». C’era chi andava via, ma c’era anche chi in Ucraina ci tornava: «In tantissimi, lavoratori e studenti, stavano lasciando l’Europa per tornare a casa, per difendere la Patria. A volte sì, mi sono sentita in colpa, ma tra le bombe e le storie di violenza, anche sui bambini, avevo solo bisogno di mettere in salvo la mia famiglia».
Così Svetlana ha raggiunto i suoi amici a Bitonto, Pino e Anna, direttori artistici di un festival lirico per cui aveva confezionato diversi abiti: «Siamo stati accolti benissimo in città, si è attivata subito la macchina della solidarietà – ci ha raccontato -. Oggi abbiamo un monolocale nel centro storico, i bambini frequentano la scuola, percorsi sportivi e io passo le mie giornate in aula con il piccolo Svitik, che sta imparando pian piano l’italiano». Da qualche tempo, da loro, c’è anche il papà del 13enne, che è rimasto ferito durante il conflitto: «Racconta che poteva entrarci quasi una mano nella coscia, per quanto era profonda e grave la ferita. Dopo l’operazione e la riabilitazione, ha soltanto voglia di tornare in Ucraina per difendere la nostra terra dagli attacchi».
«Riesce a chiamare o a mandare qualche messaggio soltanto in alcuni momenti, quando gli è permesso di farlo, perché i segnali dei cellulari vengono intercettati con i satelliti e si rischiano bombardamenti nella zona in cui sono». L’inverno, sicuramente, è il periodo più duro: «Continuo a leggere nei gruppi whats’app della scuola di mio figlio che hanno affrontato momenti senza luce, senza riscaldamento, dormono con le robe indosso, tra tante coperte. Ma sono fiduciosi, sorridono, sono certi che la guerra presto finirà e ce lo auguriamo anche noi».
Sono tanti anche in parenti in Russia, a cominciare dagli zii paterni di Svetlana: «Non è facile parlare con loro, perché non credono, anche dinanzi a foto e video, a quello che sta accadendo. Dicono che raccontiamo bugie, che loro, in realtà, si stanno difendendo da tutta Europa». Ma a questo si aggiunge anche l’opinione pubblica italiana: «ci sono tanti pro-Putin e, a volte, sui social mi sembra di leggere e sentire la tv russa. Noi, in questo momento, abbiamo un buon presidente: è cresciuto tantissimo in questi anni e siamo certi porterà ottimi risultati».
La fiducia, dunque, da parte degli ucraini è tanta. Ora cosa manca? «Solo la pace». Ci saluta così Svetlana, mentre si allontana veloce, tra le strade della città che ormai conosce come casa sua.