AGI – Nel settembre del 1989, l’ex terrorista e leader di ‘Prima Linea’ Sergio Segio venne trasferito dopo dieci giorni di digiuno dal carcere di Torino, dove scontava una condanna a 29 anni, all'ospedale Molinette. Protestava contro la decisione del magistrato di Sorveglianza di non concedergli il permesso di lavoro esterno perché aveva espiato troppa poca pena.
“Feci uno sciopero totale della fame che mi portò al ricovero in gravi condizioni per un'insufficienza renale nel reparto speciale delle Molinette dove peraltro la situazione era peggiore di quella del braccio speciale torinese" ricorda all’AGI Segio che, espiata la sua pena, avviò una riflessione critica su quegli anni ed è attivo da quando è libero nel volontariato anche coi carcerati.
"Dopo un incontro del comitato che solidarizzava con me formato da parlamentari, docenti, sindacalisti con l'allora ministro della Giustizia Giuliano Vassalli, il magistrato mi concesse di accedere al lavoro all'esterno col 'Gruppo Abele', come tutti gli altri".
"Il trasferimento di Cospito è solo uno scarico di responsabilità"
"La decisione del trasferimento di Cospito a Opera credo invece che vada letta più come precauzione burocratica e scarico di responsabilità di fronte all’esito incombente della morte che non come provvedimento ispirato a considerazioni umanitarie. Si abbia almeno il coraggio di chiamare le cose con il loro nome. Se si è scelto di far morire il detenuto Cospito, come ormai è evidente, ce ne si assuma apertamente la responsabilità politica e disumana”.
Come per l’anarchico che si astiene dal cibo da oltre cento giorni contro il 41 bis, anche nel suo caso fu promossa una raccolta firme a sostegno dell'astensione dal cibo a cui aderirono diversi parlamentari di tutti i partiti, dal Pci alla Dc, sindacalisti, giuristi e, tra gli altri, il sociologo Luigi Manconi oggi tra i più attivi anche nel sostegno all'iniziativa di Cospito.
"La sua lotta va oltre i reati e l'ideologia"
Secondo Segio, il merito principale dell’anarchico, condannato in via definitiva per la gambizzazione di un manager dell’Ansaldo e in attesa di giudizio per l’esplosione di due ordigni in una caserma, è aver fatto diventare di dominio pubblico il tema del 41 bis. “Bisogna essergli grati perché ha posto, o se preferiamo imposto, all’attenzione delle forze politiche e a tutti i cittadini una questione rimossa che invece, pur riguardando un numero relativamente ristretto di persone (749), è fondamentale per chiunque abbia a cuore lo Stato di diritto e, in definitiva, la stessa democrazia. Non credo debba importare quale sia la logica che lo ha mosso in questa decisione né quali siano i suoi reati e la sua ideologia. Ciò che conta è che lo sta facendo mettendo in gioco la sua vita”.
"La politica dei miei tempi era meno insensibile"
Segio evoca la Corta Europea dei Diritti dell’Uomo “che ha equiparato alla tortura questo sistema”. “Nella sua applicazione concreta e nella ratio lo è e, mi permetto di dire pour cause, conoscendo e avendo patito per molti anni il regime di isolamento e di carcere speciale antesignano del 41 bis che allora si chiamava articolo 90. Il 41 bis è un sistema votato a spezzare le persone per umiliarle e ucciderle progressivamente”.
Tuttavia vede “enormi distanze” tra l’epoca del suo digiuno e quella di Cospito “perché la stagione sanguinosa delle armi era temporalmente ancora ravvicinata e toccava personalmente decine di migliaia di persone, per la maggior sensibilità democratica presente nella società, perché il sistema carcere non era ancora del tutto ingessato in una logica di emergenza infinita, perché la classe politica era meno insensibile alle ragioni del diritto”. Rievoca che all’epoca il Guardasigili Giuliano Vasssalli “accettò di incontrare una delegazione del comitato che solidarizzava con quello sciopero della fame, tra cui padre Davide Turoldo e don Luigi Ciotti, e prese impegni per risolvere la situazione”.
"Il ministro si sta voltando dall'altra parte"
Segio è molto critico con l’approccio al tema del 41 bis degli ultimi ministri: “In Italia si preferisce fare come le proverbiali tre scimmiette: non si vuole sapere, non si vuole dire, non si vuole chiamare le cose col loro nome. E così l’attuale ministro della Giustizia può serenamente voltarsi dall’altra parte, così come il suo predecessore, di opposta parte politica, ha potuto distrattamente firmare il decreto di Cospito al 41 bis. Regime cui è stato sottoposto dopo avere già scontato 9 anni di carcere ‘normale’. E già solo questo rivela che quel sistema non serve a fare ciò che la norma dichiara, interrompere i collegamenti con l’organizzazione criminale, ma serve come vendetta”.