AGI - Tutto cominciò con un tunisino incattivito ed ubriaco, strappato alla facile rabbia della folla. Così Don Pino Vitrano, che con Biagio Conte ha dato vita ai volontari della Missione Speranza e carità, rievoca il primo incontro con colui che ora tutti ricordano come Fratel Biagio. "Ero alla stazione centrale, stavo cercando un ragazzo, e in un momento particolare incontro questo giovane che non conoscevo, che usa delle parole talmente profonde ed evangeliche nei confronti di un fratello che lì stava sbagliando", racconta il religioso in una intervista che Vatican News pubblica mentre a Palermo si celebrano i funerali del missionario laico,
"Aveva buttato la pasta a terra appena gliela avevano consegnata, con il piatto e tutto, ma io ancora non avevo capito che quello era un alcolizzato. Tutti intorno si stavano scaraventando contro questa persona, un tunisino ubriaco, ma Biagio subito reagì". "Tutti stavano per mettergli addosso le mani", ripete Don Vitrano, "e lui subito, dietro di me - io ancora non lo conoscevo - disse: 'Fermi tutti, non toccatelo. Lui ha sbagliato, ma noi non dobbiamo ricambiare al male con il male".
"Lì io sono rimasto colpito, perchè tutti si sono fermati grazie a lui, che aveva un timbro di voce forte, potente, ma soprattutto aveva autorevolezza e capacità di farsi ascoltare", prosegue nel ricordo, "Era ancora giovane, coi jeans, in testa un berretto che era fatto con una manica di maglione e un bastone da pastore. In quel momento mi sono detto: 'Guarda come lui, laico, è capace di fronteggiare tutto e di usare parole evangeliche. Io forse, guardando l'ora, avrei detto: 'Dategliene quattro, così la prossima volta ci pensa'.
Questo episodio mi ha dato l'input di incominciare a vedere in Biagio qualcosa di particolare, di straordinario". "E' difficile sintetizzare trent'anni di esperienza che portano a una dimensione di vita che non sempre si può descrivere a parole, perchè con lui era un parlare non tanto a voce, ma cuore a cuore", conclude Don Vitrano, "E allora, quando tu incominci a scoprire questo linguaggio del cuore, comprendi che solo in quel modo può andare avanti a maturare un cammino di trent'anni con Lui".
Nell'omelia pronunciata il giorno dei funerali di Frate Biagio, l'arcivesco di Palermo, Corrado Lorefice, lo ha definito "un mite, potente lottatore. Lottava con l'arma del digiuno per tendere al massimo la sua forza umile e non violenta. Lottava così per insegnarci che è possibile combattere ogni forma di violenza e non essere violenti, portare la Croce di Cristo e la croce del povero, soffrire e donare gioia e speranza. L'unica eredità di cui Fratel Biagio si è appropriato è stata il dolore e la povertà dei fratelli".