AGI - (di Nicola Graziani) Le parole siano sì o no: tutto il resto si sa da dove viene. Ragion per cui Papa Francesco oggi invita - dopo giorni di polemiche fuori posto, presunte rivelazioni, notizie che ha gia' definito false - a evitare la mormorazione. Niente di peggio per la Chiesa. Niente di più velenoso e distruttivo.
Lo dice chiaramente, il Pontefice, all'Angelus in cui ha fatto ricorso ad una nuova citazione di Benedetto XVI.
Queste le sue parole: "Fratelli, condividiamo, portiamo i pesi gli uni degli altri. Invece di chiacchierare e dividere guardiamoci con compassione, aiutiamoci a vicenda. Chiediamoci: io sono una persona che divide o che condivide? Sono discepolo di Gesu' o del chiacchiericcio? Il chiacchiericcio è un'arma letale che uccide la fratellanza". Non c'é bisogno di esegeti né di esperti in dossologia per capire che cosa significhino, queste parole aggiunte in parte a braccio, all'ultimo momento.
Dentro, in Basilica, hanno aperto i cancelli: dalle 9 del mattino si può rendere vita al suo predecessore. Il Papa emerito, Ratzinger che adesso si discute se fare santo subito mentre si prospettano dimissioni del successore, riposa in una tomba sobria e semplice come i funerali che egli stesso ha chiesto.
La lapide reca la scritta più sintetica possibile: 'Benedictus PP XVI' e null'altro. È vero che qui giacque anche Karol il Santo Subito, ma non pare ci sia aria di altrettanta speditezza: già si sono alzate diverse voci contrarie non alla canonizzazione, ma alla fretta.
Per il secondo giorno di seguito Francesco fa un discorso che si presta alla doppia lettura. Non è un voler accostare la situazione vaticana a quella ucraina, ma l'invito alla pace, alla giustizia basata sulla misericordia, al prendersi peso gli uni dei carichi degli altri senza atteggiamenti punitivi o rivendicativi può esser rivolto a più di una situazione.
Oggi, quindi, Bergoglio parte da una riflessione che è generale ma può essere vista anche come una esortazione ad evitare processi di Norimberga, mentre c'è bisogno semmai di una rinascita e di una rifioritura.
"Noi tante volte abbiamo un'idea ristretta di giustizia e pensiamo che essa significhi: chi sbaglia paga e soddisfa così il torto che ha compiuto", spiega, "ma la giustizia di Dio, come la Scrittura insegna,è molto più grande: non ha come fine la condanna del colpevole, ma la sua salvezza e la sua rinascita, il renderlo giusto".
Di più: "Siamo chiamati a esercitare in questo modo la giustizia, nei rapporti con gli altri, nella Chiesa, nella società: non con la durezza di chi giudica e condanna dividendo le persone in buone e cattive, ma con la misericordia di chi accoglie condividendo le ferite e le fragilità delle sorelle e dei fratelli".
In passato la Santa Sede ha lasciato trasparire il desiderio, o se non il desiderio almeno l'auspicio, che le parti impegnate nella guerra ucraina sapessero rinunciare proprio al desiderio di punire: sarebbe stato il miglior viatico ai negoziati di pace, a quella nuova Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa che ancora oggi il cardinal Matteo Zuppi, presidente della Cei, auspica in una intervista.
Il Papa torna così a chiedere di non dimenticare la martoriata Ucraina, con il suo Natale ortodosso "senza luce e senza caldo". Una nazione che "soffre molto". Ma aggiunge, ed è forse la prima volta che lo fa: "Penso alle mamme delle vittime della guerra, dei soldati uccisi, russe e ucraine. Penso ad ambedue. E' il prezzo della guerra. Penso a loro, siano ucraine siano russe".
Come diceva Benedetto XVI, che ora si può andare a visitare nel suo riposo: "Ogni uomo, anche chi è caduto tanto in basso da non vedere più il cielo, possa trovare la mano di Dio a cui aggrapparsi e risalire dalle tenebre a rivedere la luce per la quale egli è fatto".
È misericordia, soprattutto è comprensione. Quindi è giustizia. Sia fatto silenzio, allora.