AGI - Per sette anni la giustizia interna agli avvocati e quella civile sono state impegnate a stabilire se le offese alla magistratura da parte di una legale neomamma fossero dovute alla stanchezza e alla carenza di sonno per la fresca maternità. La vicenda si è chiusa nei giorni scorsi con la pronuncia della Corte di Cassazione a sezioni unite civili (11 magistrati), diffusa dallo Studio Cataldi e letta dall'AGI, che ha respinto il ricorso della professionista contro il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Treviso confermando che lo stress dovuto al post parto non giustificava la sua "condotta sconveniente" rispetto al codice deontologico delle toghe.
La donna ha tenuto duro fino all'età in cui il figlio ha cominciato la scuola arrivando alla Cassazione per cercare di cancellare dal suo percorso la 'macchia' della censura inflitta dal consiglio nazionale forense. Una sanzione comunque più mite rispetto ai due mesi di sospensione decisi in precedenza dagli altri organi di disciplina degli avvocati.
La sua 'colpa' risale al 2015 quando nell'atto di opposizione all'archiviazione di un procedimento portato avanti dalla Procura di Belluno "utilizzò espressioni sconvenienti e offensive travalicando i limiti del rispetto della funzione giudicante" e alludendo ad anomalie dell'inchiesta tanto da chiedere la trasmissione degli atti al Ministero della Giustizia.
"Non sapevo quello che facevo quando ho scritto quell'atto perché dormivo poco e allattavo mio figlio" si era giustificata davanti al Consiglio distrettuale di disciplina di Venezia. Implacabile la risposta prima dei suoi colleghi chiamati a giudicarla e poi della Cassazione secondo la quale "in tema di responsabilità disciplinare dell'avvocato la coscienza e la volontà consistono nel dominio anche solo potenziale dell'azione o omissione per cui vi è una presunzione di colpa per l'atto sconveniente a carico di chi lo abbia commesso il quale deve dimostrare l'errore inevitabile".
E in questo caso proprio lo stress avrebbe dovuta indurla a maggior prudenza nel leggere e rileggere quello che era un atto scritto, "una verifica che si imponeva a maggior ragione a fronte di una condizione di particolare spossatezza".