AGI - C'è un cielo azzurro, augurio di una nuova normalità perduta, negli scatti di Nika, 15 anni e una valigia fatta in fretta per scappare da Karkiv durante i bombardamenti. E ci sono invece i libri nelle foto di Mamoudou, 16 anni, fuggito dalla Guinea Conakry a causa del Covid. Il suo sogno, diventare ingegnere e tornare nel suo Paese. Sono storie che intrecciano durezza e speranza quelle raccontate negli scatti realizzati dai sedici giovani migranti provenienti da sei paesi diversi nell'ambito della mostra "Vite in movimento. Sogni e sfide di 16 adolescenti in Italia", realizzata da Unicef, con il contributo di Accademia Italiana, scuola di alta formazione con sedi a Firenze e Roma.
Il progetto fotografico è il risultato di un workshop che ha coinvolto 16 ragazze e ragazzi arrivati in Italia dal continente africano e dal conflitto ucraino, realizzato in collaborazione con Giacomo Pirozzi, fotografo professionista che dal 1991 lavora in contesti internazionali al fianco di Unicef.
"I temi sono la speranza e il futuro, ma soprattutto il movimento - spiega Unicef attraverso le parole del portavoce Andrea Iacomini, alla vigilia della Giornata internazionale dei migranti celebrata il 18 dicembre dall'Onu -. Questi ragazzi sono sempre in movimento, sono arrivati in Italia, ma vogliono anche ripartire". Attraverso gli scatti degli stessi protagonisti, infatti, il visitatore vede Roma e il mondo dagli occhi di chi si è trovato a lasciare il Paese d'origine arrivando recentemente in Italia. "I partecipanti hanno ricevuto una macchina fotografica e hanno girato la citta' immortalando la realtà in cui loro vivono. La Roma che loro conoscono".
Simbolica la scelta della stazione per ospitare l'esposizione. "La mostra ha avuto un successo enorme. Non abbiamo parlato solo alla persona interessata ma anche al passante - aggiunge Unicef -. A lui chiediamo: da dove arrivi e dove vai? Ma la vera domanda di fondo è: ci siamo mai chiesti da dove arrivano e perché arrivano queste persone? Domande che ci siamo posti troppo poco. Perché, se lo facessimo, scopriremmo mille motivi che possono essere anche i nostri. Questi interrogativi sono il vero antidoto contro la paura di chi arriva". Oltre a fotografare, i giovani 'in movimento' sono stati a loro volta fotografati e intervistati dagli studenti dell'Accademia Italiana. Il progetto ha coinvolto due fasce di età, con gli studenti dell'Accademia tra i 18 e i 21 anni e gli intervistati Unicef adolescenti, intorno ai 16 anni.
"Gli studenti che frequentano i nostri corsi hanno realizzato foto ritratti e video interviste in cui mettono i ragazzi in condizione di raccontare la propria storia in tre minuti - spiega Livia Di Nardo, General manager Accademia Italiana -. Per i miei studenti è stato un progetto molto importante, a chi studia fotografia viene spesso chiesto di fare reportage ma non capita che si trovino in relazione con storie di giovani che, pur essendo loro coetanei e abitando a pochi chilometri da loro, hanno avuto esperienze così diverse. Sono molto sinceri nel raccontare le loro storie, hanno una maturita' impressionante. È stato importante poter raccontare queste storie. Non a caso gli studenti mi hanno detto: 'Siamo più noi ad aver imparato da loro che il contrario'.
Nel corso del workshop i giovani Unicef raccontano ma, allo stesso tempo, imparano perche' gli vengono spiegati i primi rudimenti di fotografia. I ragazzi ucraini - racconta ancora Di Nardo - sono venuti con le mamme e si sono informati sulla scuola per il loro futuro, erano incuriositi di stare in un ambiente diverso da quello che vivono normalmente e alcuni si sono appassionati alla materia". E chissà se, un domani, non torneranno da fotografi a raccontare la pace ritrovata nel loro paese.