AGI – La vita di Vincenzo Semeraro è cambiata da quando, nella notte tra l’1 e il 2 agosto scorso, Donatella Hodo si è uccisa a 27 anni nel carcere veronese di Montorio, una delle 79 persone, record nero del millennio, che nel 2022 l’hanno fatta finita in cella. Quattro mesi dopo, il magistrato della Sorveglianza che da anni seguiva la ragazza nel suo percorso di recupero sta cercando di mantenere una promessa in nome di Donatella.
"Più cura per le donne recluse"
“Qualcosa è cambiato, ci sto mettendo un maggiore impegno nel cercare di studiare di più i casi – racconta in un’intervista all’AGI nell’ambito della mostra ‘Disagio dentro’ in corso in Tribunale a Milano -. Nella sezione femminile ci sono mediamente all’anno una quarantina di detenute rispetto ai 500 uomini, è ovvio che le maggiori attenzioni siano riservate alla sezione maschile. Per questo sto cercando di mettere ancora più cura sulle detenute donne”.
Semeraro è uno dei giudici, una minoranza, che va a incontrare i reclusi di cui si occupa nel loro percorso di detenzione. E' convinto che il magistrato debba "sentire la puzza" del carcere. Così faceva, vedendola spesso, con la ragazza che ha lasciato prima di morire un biglietto di scuse al suo fidanzato in cui spiegava di non poter più andare avanti nonostante il loro grande amore. “Sono stato criticato perché ho parlato di affetto nei confronti di Donatella perché un giudice dovrebbe mantenersi ‘terzo’, senza farsi coinvolgere troppo. Ma io penso che per fare bene questo mestiere sia necessario provare empatia”.
La storia della detenuta col cane in carcere
Fa un esempio: “Quando lavoravo a Venezia, nella casa circondariale femminile è entrata una giovanissima che non aveva nessuno fuori. Abbandonata dai parenti, viveva in strada con un cagnolino, il suo unico affetto. Grazie al buon senso della direttrice e del personale quel cane è stato adottato dal carcere e, quando la ragazza, che aveva problemi di dipendenza dalla droga come Donatella, aveva l’ora d’aria, poteva giocarci. Circa un mese dopo che ha finito la pena, ho letto su un giornale che è stata ritrovata morta in una calle di Venezia con una siringa ancora infilata nel braccio. Per me è stato un pugno nello stomaco. Mi sembra difficile dire che ci occupiamo di casi, sono persone”.
Al funerale di Donatella Hodo, venne letta una lettera firmata dal giudice (“La mandai a una terza persona che la diffuse senza la mia autorizzazione”) nella quale Semeraro parlò di “fallimento” suo e del sistema. “Voglio chiarire cosa intendevo. Molti sono convinti che facessi riferimento al carcere di Verona ma non è così. Pensavo al legislatore che non ebbe il coraggio di trasformare in legge nel 2018 i suggerimenti per aumentare le misure alternative provenienti dal tavolo di riforma penitenziario, rimasti lettera morta perché di lì a poco si andava a votare e si aveva paura della reazione degli elettori. Ai governi che non rimpolpano il personale della polizia penitenziaria e gli educatori che sono 700 per 55mila detenuti. Alle regioni da cui dipende la sanità penitenziaria e il numero di psicologi e psichiatri sempre più basso. Per andare via via più giù sino ad arrivare alla magistratura”.
"Nei colloqui non le ho fatto immaginare un futuro"
Semeraro ribadisce: “Prima di tutto il responsabile sono io perché faccio parte di questo sistema. Se una ragazza si è uccisa per mancanza di una progettualità nel futuro dipende anche da me e dal fatto che nei colloqui non sono riuscito a prospettare dei futuri praticabili”.
E’ giusto tenere in cella le persone con dipendenze o disturbi pschiatrici? “Il legislatore prevede che ci siano istituti specifici destinati a detenuti con problemi di tossicodipendenza, gli Icat, ma purtroppo sono molto pochi in Italia. Sui malati psichiatrici c’è un vuoto normativo perché chi inizia a soffrirne in carcere non può andare nelle Rems. A volte possono essere sottoposti a 30 giorni di osservazione psichiatrica ma il vero problema è che spesso queste persone fuori non hanno nulla, nemmeno un tetto da mettersi sulla testa”.
La maggioranza dei sucidi sono proprio detenuti con dipendenze e disturbi psichiatrici. Semeraro non immaginava che Donatella potesse farlo: “Spesso i segnali di malessere vengono ricostruiti dopo e così è stato anche per lei. Le altre detenute mi hanno detto che nei giorni precedenti aveva voluto a tutti i costi restituire oggetti di poco valore, come le creme depilatorie, che le erano state prestate. Ho avuto un colloquio col padre, dopo il funerale. Non so se ha apprezzato le mie parole ma so che per certo che seppellire un figlio è un dolore contro natura”.