AGI – Morto perché il medico militare di servizio che avrebbe dovuto soccorrerlo era impegnato in una telefonata. Si riapre il caso giudiziario sulla fine del sergente maggiore Mirko Rossi, il paracadutista dell’Aeronautica che si schiantò al suolo durante un lancio il 28 novembre del 2017 all’aeroporto militare di Guidonia nel corso di un’attività di addestramento.
Nel 2019 la Procura di Tivoli chiese di archiviare la vicenda ma adesso, a quanto apprende l’AGI, si viene a sapere che ci sono sei indagati e che la Procura starebbe per chiudere le indagini sui presunti responsabili.
"Gravissima e inescusabile omissione"
La svolta sulla base di una perizia dopo che un giudice ha accolto la richiesta di opposizione all'archiviazione presentata dalla moglie del militare in forza al 17esimo Stormo che perse la vita a 41 anni. Il 5 ottobre del 2021 sono stati ascoltati dal magistrato nel corso di un incidente probatorio gli autori dello studio di oltre un centinaio di pagine dal quale emerge che non sarebbero stati prestati soccorsi tempestivi e adeguati.
In particolare, il medico capitano di guardia che avrebbe dovuto garantire immediata assistenza a eventuali infortunati nelle operazioni che si svolgevano nell’aeroporto “violando la consegna avuta si allontanava dal posto di servizio per effettuare una telefonata per imprecisati motivi personali” e, solo dopo “numerose richieste del personale infermieristico già intento ad aiutare il ferito” sarebbe intervenuto “causando in questo modo un significativo ritardo nell’intervento e l’esecuzione di manovre di rianimazione inadeguate senza la presenza del medico”.
Una “gravissima e inescusabile omissione” che, è scritto nella perizia disposta dalla Procura letta dall’AGI, “risulta in pieno nesso di causalità giuridica tra il decesso di Rossi e l’imperizia, imprudenza e negligenza dell’assistenza sanitaria” considerando anche che il giovane uomo non morì sul colpo ma al Policlinico Gemelli, circa due ore dopo il trauma.
L'appello della moglie
Sono sei gli indagati di cui il gip ha ordinato l’iscrizione nel registro degli indagati ‘smentendo’ la Procura che aveva notificato alla moglie di Rossi, parte offesa, la richiesta di archiviazione “rilevato che gli autori del reato sono rimasti ignoti” e che le circostanze del caso non suggerivano la necessità di nuove indagini.
A dare impulso a ulteriori accertamenti è stata l’avvocata milanese Mariapaola Marro, per conto di Isabella Antonacci, la consorte del sergente, elencando i suoi dubbi in modo articolato nell’istanza di opposizione. Dopo l’iscrizione nel registro degli indagati di sei persone, la legale ha sollecitato per due volte la Procura, alla quale il gip ha restituito gli atti affinché completasse le indagini, la chiusura dell’inchiesta.
Il 28 gennaio scorso, in calce alla sua istanza di sollecito, il pm Giuseppe Mimmo ha scritto a penna: “Comunico di avere emesso l’avviso di chiusura delle indagini”. Al momento però, dopo quasi un anno da quella comunicazione ,non è stato ancora notificato nulla alle parti. "Un ritardo che non comprendiamo" dice Marro.
“Voglio che sia fatta giustizia dopo 5 anni dalla morte di mio marito – afferma Isabella Antonacci -. Il tempo che sta trascorrendo per avere una verità è diventato troppo”.