AGI – Non è una provocazione, non è un’utopia, non è il sogno di un criminale incallito. ‘Abolire il carcere’ nelle intenzioni degli autori Luigi Manconi, Stefano Anastasia, Valentina Calderone e Federica Resta per Chiarelettere, è un libro sul perché e sul come. Perché si debba osare un pensiero così scabroso e come si possa farlo diventare realtà.
Il carcere funziona?
Intanto, si mette il naso dentro per capire chi ci stia: “per la maggior parte poveri, tossicomani e stranieri, categorie deboli che non hanno la forza economica di sostenere un processo e sono quindi private di una difesa legale adeguata; individui ai margini che avrebbero bisogno di cure. Si stima che i detenuti davvero pericolosi, quelli incarcerati per omicidi, reati associativi, traffico internazionale di stupefacenti, rappresentino a malapena il 10 per cento del totale”.
E’ utile il carcere? “La risposta è davvero semplice: il carcere non funziona. Il dato fondamentale è quello sulla recidiva”. Vengono citati due studi: uno dice che “sette condannati su dieci commettono un nuovo reato dopo avere scontato la pena in carcere, l’altro che “chi ha beneficiato dell’indulto ha un tasso di recidiva molto inferiore rispetto a chi era detenuto in carcere”.
Inoltre, il tasso di suicidi è “17 volte più alto di quello delle persone libere”. Dunque, il carcere non costituirebbe un deterrente, né sarebbe strumento di rieducazione, come Costituzione comanda. Il Paese con gli indici di recidiva più bassi è la Svezia “grazie al lavoro all’esterno e alle pene non carcerarie”. In Italia "il 55% dei condannati sconta la pena in carcere, in Germania solo il 28%, in Francia il 30%, in Inghilterra il 36%".
Le alternative possibili
Quindi, se non il carcere, cosa? La risposta degli autori è tante risposte che dovrebbero consentire dei passaggi intermedi verso l'abolizione: utilizzare meno il diritto penale, depenalizzando i reati minori e sostituendo la sanzione penale con quella amministrativa o civile; abolire l’ergastolo “che contrasta con il principio rieducativo a cui deve ispirarsi la pena”; tenere fuori dal carcere chi è in attesa di giudizio, attualmente “un terzo dei detenuti”, con la possibile introduzione di cauzioni; potenziare le misure alternative alla detenzione”. Per i reati più gravi la soluzione sarebbe quella di far diventare il carcere “un luogo presidiato di diritti e garanzie, unica condizione affinché svolga una funzione in qualche modo rieducativa. Andrebbero poi aboliti il carcere per i minori “dandogli altre opportunità di sostegno nel loro percorso” e le misure di sicurezza per chi è stato prosciolto col riconoscimento di un disagio psichiatrico.
Da incentivare invece la giustizia riparativa capace di risarcire la vittima o, nel caso in cui non ci fosse, di “reintegrare il bene giuridico leso dal reato con una sorta di risarcimento indiretto alla collettività”. Scrive il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky nella postfazione: “La commissione di un crimine fa sorgere nel colpevole il dovere di pagare il suo debito alla società. Il carcere è un modo efficace di pagarlo?. Evidentemente no. E’ il solo modo di soddisfare una pulsione sociale che richiede segregazione ed espiazione attraverso il dolore”.