AGI - Dopo l'annuncio della Regione Piemonte, ora anche il Lazio e il governo nazionale stanno cominciando a mettere in campo misure nel tentativo di arginare i danni e i costi della siccità che ormai da 4 mesi ha colpito il paese. Il punto ora è di cercare di arrivare a ottobre, quando - si spera - le piogge torneranno a irrigare valli e montagne e a nutrire nuovamente le falde. Il rischio è che le misure siano tardive e arrivate quando ormai la poca acqua caduta nei mesi invernali sia già finita in mare o evaporata sotto il Sole cocente di questo anticipo di estate.
“C’è poca acqua e non la possiamo e dobbiamo più sprecare! Dopo un inverno siccitoso e scarsamente nevoso, in particolare sulle Alpi centro-occidentali, la situazione sta esponenzialmente peggiorando". Lo spiega Massimiliano Fazzini, climatologo dell'Università di Ferrara e Coordinatore nazionale dell'Area tematica Rischio Climatico della Società Italiana Geologia Ambientale (Sigea).
"Se è confermato che in certe aree della Padana occidentale non piove da 80 giorni e che la poca neve caduta sui nostri monti è totalmente fusa - talvolta sino ai 3400 metri di quota - e che la quota dello zero termico in questi giorni sta sfiorando i 4500 m. - con valori di temperatura che ieri hanno toccato i 5°C sulla vetta del Monte Rosa - c’è davvero da preoccuparsi".
"Le 'disponibilità' idrologiche 'stoccate' esistenti al momento sono già limitate del 30-35% rispetto alle medie del periodo. Le temperature dell'aria raggiungeranno il valore massimo tra l’ultima decade di luglio nelle aree più distanti dal mare e la prima decade di agosto per quelle lungo le coste. I nostri vicini della Francia stanno peggio. In Italia bisogna evitare una cattiva gestione delle reti idriche. Le soluzioni ci sono: ridurre la dispersone idrica della rete nazionale, una politica di sensibilizzazione a non sprecare acqua nelle case e non solo”.
Già a febbraio diversi ricercatori e scienziati avevano cominciato a lanciare allarmi che sono caduti nel vuoto. "L'acqua è una risorsa preziosa, e una siccità invernale così forte non permette il rifornimento adeguato delle riserve idriche utili per la stagione vegetativa successiva - aveva spiegato Claudio Cassardo, meteorologo dell'Università di Torino - . Pur con tutti i limiti che hanno, le previsioni stagionali non lasciano intravvedere neppure per marzo precipitazioni di una certa rilevanza. Per cui a breve assisteremo al risveglio vegetativo delle piante, che succhieranno l'umidità nello strato delle radici, e ammanteranno di verde i prati. Ma, se continuerà a non piovere, con il rialzo termico anche l'evapotraspirazione aumenterà e inevitabilmente le piante avranno sempre più difficoltà a rifornirsi di acqua: quelle con le radici corte appassiranno, mentre quelle che riusciranno a pescare più in profondità riusciranno a sopravvivere un po' di più".
A preoccupare più di tutti era la mancanza di neve sulle Alpi, quella che sciogliendosi nel corso dell'estate avrebbe dovuto garantire il flusso dei fiumi e delle sorgenti a valle. Nello stesso periodo la rete nazionale delle agenzie di protezione dell'Ambiente (SNPA) aveva segnalato un livello drammatico proprio dei livelli nevosi in quota. Sulle Alpi lombarde, per esempio lo stock di acqua accumulato sotto forma di neve era del 68 per cento inferiore alla media degli ultimi venti anni.
La riserva idrica accumulata sotto forma di neve, nelle dighe e negli invasi alpini e nei grandi laghi lombardi era ridotta al 45 per cento di quella media. Situazione ai valori minimi mai osservati negli ultimi vent’anni anche per la Valle d'Aosta regione che ospita le cime più elevate del sistema alpino che costituisce un bacino idrico strategico per il Po.
Il livello di neve accumulato sulle Alpi piemontesi a inizio febbraio era pari a circa 710 milioni di metri cubi equivalenti di acqua, contro un valore medio stagionale che sfiora i 2000 metri cubi. Più a Sud, nel Lazio, in Umbria e Marche e in Abruzzo la situazione era ugualmente critica.
Il 23 febbraio, nel corso di una riunione dell'Osservatorio permanente sugli utilizzi idrici organizzato dall'Autorità di Bacino, Emanuele Romano, ricercatore dell'Irsa-Cnr, ha sottolineato “che – si legge in una nota - anche se le precipitazioni dei mesi di novembre e dicembre 2021 sono risultate sopra la media, in particolar modo sul versante adriatico, quelle di gennaio 2022 sono state inferiori alla media storica su tutto il Distretto. Ciò ha portato a condizioni di deficit pluviometrico significativo su scale temporali lunghe, in particolar modo sulla costa tirrenica e sulla dorsale appenninica. Questo deficit avrebbe impattato in maniera significativa nei prossimi mesi sulla disponibilità delle risorse idriche, specialmente di quelle sotterranee, in assenza di un eventuale recupero del deficit pluviometrico nei mesi di, marzo, aprile e maggio 2022”. Cosa che è poi puntualmente avvenuta.
A destare preoccupazione anche i fiumi. "Le portate dei corsi d’acqua superficiali - si legge di una nota pubblicata a valle dell'incontro - risultano nel mese di gennaio significativamente inferiori alla media di lungo periodo in molte stazioni dell’Umbria, del Lazio e dell’Abruzzo".
Sono le aree che alimentano il grande acquedotto del Peschiera che oltre Roma serve anche gran parte dell'Area Metropolitana. All'allarme sui fiumi si aggiunge anche quello sui laghi, che in questo specifico settore, giocano il ruolo di riserva strategica. Ma proprio il Lago di Bracciano, al centro della crisi del 2017 non è ancora riuscito a ripristinare il suo livello naturale e si trova ora a soli 5 centimetri sopra la soglia limite sotto la quale non è più possibile prelevare acqua. Al ritmo di un abbassamento di 4 millimetri al giorno, entro i primi di luglio sarà sceso al di sotto di quel limite e non potrà così svolgere al suo ruolo di riserva strategica.