AGI - Truccavano le aste giudiziarie, spostando le date o descrivendo i lotti come danneggiati. Con questi escamotage non si presentava nessuno e l'asta veniva ripetuta a un prezzo ribassato, permettendo agli ex proprietari un acquisto fuori mercato a danno dei legittimi creditori. È il caso, ad esempio, di un pastificio dell'hinterland milanese che dopo il fallimento aveva accumulato debiti per circa 110 mila euro e che, con una mazzetta da 2.500 euro, avrebbe pilotato l'asta riuscendo a riacquistare i propri macchinari.
Nei giorni scorsi si è chiuso il processo che vedeva imputate 19 persone per i reati di corruzione, turbativa d’asta aggravata e falsità ideologica con pene che vanno da uno a undici anni e due mesi di reclusione. È l'esito della seconda parte di un procedimento per le aste giudiziare truccate, che già nel settembre 2020 aveva portato a sei patteggiamenti e a tre condanne in rito abbreviato. L’indagine, portata avanti dagli agenti del Nucleo centrale di polizia giudiziaria della Polizia locale di Milano e coordinata dal Sostituto Procuratore Grazia Colacicco, in totale vede coinvolte 39 persone tra banditori, debitori e prestanome.
Tutto era partito nel febbraio del 2012 quando alcuni vigili avevano saputo, in via strettamente confidenziale, che, durante le aste giudiziarie gestite dalla Sivag (Istituto Vendite Giudiziarie del Tribunale di Milano), i lotti rimanevano invenduti per “ritornare” a prezzi notevolmente sotto il loro valore ai proprietari, oggetto della procedura esecutiva, che così potevano ricomprarli agevolmente. Per verificare l’attendibilità delle confidenze, e quindi procedere con le indagini, gli agenti della Polizia locale si erano infiltrati alle aste e avevano effettivamente riscontrato diverse irregolarità.
In accordo con la Procura della Repubblica, le indagini erano poi proseguite con l’intercettazione telefonica dei banditori, a tutti gli effetti ausiliari del giudice responsabile della procedura esecutiva, che approfittavano della disperazione di chi aveva avuto la procedura esecutiva con il pignoramento dell’auto, dei macchinari di un pastificio o di altri oggetti di valore, e in cambio di denaro proponevano gli espedienti risolutivi per pilotare l'andamento delle aste. Sarebbe bastato – come emerso dalle intercettazioni – differire l’asta dalla data o dall’ora in cui era stata calendarizzata pubblicamente in modo che al momento dell’incanto non vi fosse nessuno in sala, oppure descrivere i lotti come fossero danneggiati anche se non lo erano.
Così alla prima chiamata i beni sarebbero andati invenduti per essere riproposti nuovamente a un valore irrisorio e accessibile al vecchio proprietario, a un suo prestanome o ad altro acquirente con il quale si era raggiunto l’accordo. Alle intercettazioni sono seguite perquisizioni e sequestri di computer e altri apparati elettronici e soprattutto i verbali di vendita delle procedure esecutive che hanno permesso agli inquirenti di individuare un consolidato sistema di corruzione.