AGI - C’è la Roma che ha vinto un trofeo e non succedeva da un bel po’ di anni, è vero. C’è Special One Josè Mourinho che ha trasformato una squadra di giocatori medi (con un paio di stelle e qualche gregario di valore) in un gruppo vincente, capace di rendere al 110% nelle 3-4 partite decisive della stagione e portare al Circo Massimo una coppa europea che mancava nella bacheca di una squadra italiana da 12 anni. Vero anche questo. Ma forse 48 ore di follie non stop per le strade della capitale hanno ragioni più profonde e lontane, che la sola vittoria della Conference League – per carità, preziosissima e inattesa – forse non potrebbe spiegare.
I giornali lo hanno raccontato bene: in strada sono scesi anche tanti ‘romanisti quando ero bambino’, tifosi improvvisati che hanno riesumato la bandiera dalla soffitta pur di inforcare un motorino e fare casino per una notte sul lungotevere senza che nessuno potesse dire nulla. Non un vigile, un virologo, un preside. Nessuno stanotte ci può imporre una mascherina, pretendere un metro e mezzo di distanziamento, togliere punti patente per un semaforo passato col rosso. Nessuno può impedirci di “vivere e abbracciarci ancora”, lo canta pure Venditti nell’inno romanista.
Tutti parte del ‘popologiallorosso’, anche se la finale di Tirana non l’hanno vista tutti, qui è Roma che fa festa, i romanisti in senso lato, uomini e donne in cerca di rivincita e di corse a briglie sciolte dopo due anni di divieti e restrizioni, di bollettini delle rinunce quotidiane, di rigori negati e derby persi con la vita vissuta, con gli amici ormai ex, i cinema chiusi, i negozi spariti.
Tutti parte di un grande ‘cluster’ di gente stufa e vogliosa di non ripetere più “mai una gioia”. Il gol di Zaniolo agli olandesi è stato un po’ come il segnale del comandante Massimo Decimo Meridio nel Gladiatore di Ridley Scott: è bastato per scatenare l’inferno, la festa, la rivolta contro la tristezza, col pretesto della Roma campione. “Sì, è andata proprio così – dice Giorgio De Rita, segretario generale del Censis, romano e studioso di dinamiche sociali (non segue il calcio, totalmente ‘apolitico’ in materia) – è stata una bella festa, spensierata e scatenata, in cui i romani, non solo i romanisti di stretta osservanza, si sono riappropriati fisicamente di spazi che per due anni sono stati utilizzati col contagocce”.
Una festa persino esagerata, aggiunge De Rita, in cui la città ha voluto tributare il giusto merito a capitan Pellegrini e ai calciatori di Trigoria , ma anche “una festa nella quale la città ha dato sfogo a un grido di liberazione troppo a lungo represso. Una festa rumorosa e improvvisata che è stata ben tollerata anche da chi romanista non è, malgrado le code di traffico e gli schiamazzi fino all’alba”.
Ma c’è un rovescio della medaglia, per il segretario del Censis: “È stata una festa organizzata male, anzi, non organizzata per niente. Due pullman scoperti partiti a metà pomeriggio dalla Colombo e una città che è andata loro dietro alla spicciolata. Al Circo Massimo c’erano 100 mila persone, ma dietro questo appuntamento non un pensiero, un progetto. Si potevano aspettare due giorni e organizzare un evento vero, con ospiti, attori, cantanti, si poteva alzare l’asticella. Roma ormai è abituata al disordine, all’improvvisazione, vale per i rifiuti, come per la doppia fila: ci siamo abituati al disordine come se fosse un ordine di cose accettabile, quasi folkloristico. Invece Roma deve tornare a pensare e a progettare in grande da capitale mondiale. La festa dei romanisti è stata meravigliosa e spontanea, ma i romani devono aspettarsi e pretendere di più, persino per un evento come questo”.
Il sindaco Roberto Gualtieri era in tribuna a Tirana e ha benedetto la festa nelle piazze. Per Roma ha promesso sviluppo, innovazione, modernità. E anche, finalmente, uno stadio nuovo per Tammy Abraham e compagni. “Gualtieri ha buone idee – dice De Rita – una visione della città, una buona squadra di politici e tecnici che lavorano con lui in Campidoglio. Ora deve convincere i romani ad alzare l’asticella delle aspettative. A sognare, quasi a pretendere, una città più forte, più attrezzata, migliore nei servizi e nelle dinamiche di sviluppo”.
Deve fare come Special One, che in dieci mesi ha trasformato una rosa da ottavo posto in una squadra capace di vincere in Europa? “Esattamente – dice il segretario generale del Censis – Roma deve salire di categoria, tornare nella Champions League delle capitali mondiali. Come per la squadra di calcio, servono investimenti e un lavoro serio sulla comunicazione alla città e ai giocatori, che sono i cittadini. Bello festeggiare e fare casino per una notte, ma è molto più bello gioire tutti i giorni per una città efficiente, oltreché bellissima. Stamattina al Circo Massimo c’erano ancora quintali di immondizia. Non bisogna pensare che sia normale, fisiologico. Dopo una festa per Roma campione di Conference, i romani devono pretendere il ritorno a una normalità di livello più alto. Spero che il sindaco sappia prendere esempio di Mourinho e ottenere dai suoi giocatori prestazioni e aspettative al suo livello”.