AGI - Condannato all'ergastolo, dal carcere alla moglie e ai figli dava indicazione su come gestire le estorsioni. Coinvolge l'intera famiglia Giovanni Rapisarda, 53 anni, "Sansuneddu", pregiudicato appartenente ai Santapaola Ercolano, ritenuto l'assassino dell'imprenditore Giuseppe Scaringi, ucciso il 23 novembre 1993. In manette sono finiti sua moglie Santa Carmela Corso, di 61 anni, e i suoi due figli Giuseppe e Valerio, rispettivamente di 34 e 30 anni. Sono accusati di concorso in estorsione aggravata anche dal metodo mafioso.
L'indagine, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia etnea e condotta dai carabinieri del nucleo operativo della compagnia di Paternò, è iniziata a febbraio e si conclusa a maggio, documentando un'estorsione manovrata da Giovanni Rapisarda che avrebbe impartito disposizioni dal carcere attraverso i colloqui con i suoi familiari e lettere dal tono intimidatorio indirizzate alla vittima, gestore di una ditta di Belpasso operante nel settore dell'estrazione e lavorazione di pietra lavica al quale veniva richiesta, sin dal 2012, una cifra complessiva di un milione e 700 mila euro.
Il sospetto è maturato dopo che venivano notate diverse e frequenti visite dei figli di Rapisarda nella sede della ditta. La successiva attività investigativa, svolta anche attraverso telecamere poste nell'azienda, ha permesso di ritenere che l'ergastolano richiedesse attraverso i figli e la moglie il versamento di ingenti somme di denaro sin dall'anno 2012 da effettuarsi mediante pagamenti in contante, assegni, cambiali e acquisto di un escavatore.
La vittima, a seguito dell'acquisizione di un ramo dell'azienda già di proprietà di altri componenti della famiglia Rapisarda, rispettivamente fratelli e sorelle di Giovanni Rapisarda, pur avendo già consegnato 700 mila euro negli ultimi 10 anni per crediti illecitamente vantati di un milione di euro, ha ricevuto un'ulteriore richiesta estorsiva di 700 mila euro, dilazionati in 5 anni attraverso il pagamento di una somma tra i 1.500 e 3 mila euro settimanali o, in alternativa, la cessione della ditta.
I carabinieri di Paternò hanno arrestato in flagranza Giuseppe Rapisarda e la madre Santa Corso i quali, dopo essersi recati nella ditta di Belpasso, avevano ricevuto dalla vittima una busta contenente duemila euro, quale rata della richiesta estorsiva. Nel corso di uno degli ultimi incontri, Giuseppe Rapisarda avrebbe chiesto il denaro, specificando che quei soldi gli erano dovuti in quanto la cava della vittima "era la nostra cosa... perché oramai non è che è un giorno, dodici anni, tredici anni e dobbiamo chiudere sta partitavedi tu cosa vuoi fare!", dicendo alla vittima "io te lo avevo detto... mio padre il suo piacere è questo, perché qui era la cosa sua". Gli arrestati sono stati rinchiusi nelle carceri di Grosseto e Bicocca a Catania.