AGI - “Lavoriamo in perdita perché se ci fermiamo rinunciamo ai nostri clienti, tra cui anche delle multinazionali, conquistati con fatica in anni di lavoro. Non possiamo però nascondere che la situazione è tragica”.
Proprio per non suscitare allarme nella sua clientela internzionale, Giuseppe, amministratore di una fonderia di metalli non ferrosi, di ottone in particolare, che fattura 16 milioni all’anno, preferisce mantenere l’anonimato suo e dell’azienda che ha sede nel Bresciano. Ma mostra all’AGI le bollette di questo e dell’anno passato per la fornitura di energia elettrica che sono eclatanti. “Nel primo trimestre del 2011 abbiamo pagato 50,217, 68 euro a gennaio, 52.325,89 a febbraio, 56.083,79 a marzo. Il confronto con quest’anno è abissale: 178.714,38 a gennaio, 182.305,69 a febbraio e 225.806,03 a marzo”.
"I clienti per ora sono comprensivi"
“I problemi sono iniziati nell’autunno dell’anno scorso e siamo stati presi in contropiede perché erano inimmagginabili - spiega l’imprenditore che amministra l’azienda dal 2011 dopo averne ererditato la guida dal padre che l’aveva fondata nel 1974 -. Quando si hanno avvisaglie di aumenti si corre al riparo facendo contratti lunghi. Sfortuna nella sfortuna il nostro contratto per la fornitura scadeva proprio quando è scoppiata la crisi e ci siamo dovuti prendere quello che c’era, senza possibilità di trattare”.
Ora, dice, “stiamo subendo il mercato perché la velocità del cambiamento è stata tale che non ci siamo potuti adeguare”.
La conseguenza “è che abbiamo dovuto chiamare i clienti e avvisarli che avremmo aumentato i pezzi. Noi esportiamo il 70 per cento dei nostri prodotti in Europa e hanno capito la situazione anche perché è comune a tutti. Hanno accettato i rialzi ma è chiaro che se va avanti così per un anno saremmo costretti a chiudere”.
Il grande paradosso
C’è un paradosso in questa storia: “La domanda in questo momento è molto alta e più lavoriamo più ci mangiamo l’utile. Il bilancio sarà molto in rosso e lo dico adesso, a metà aprile”. Per adesso non sono stati chiesti ammortizzatori sociali per il centinaio di dipendenti. “Non possiamo permetterci di perdere clienti perché ritardiamo le consegne con un personale ridotto. Non molliamo anche se non ricordo un momento peggiore, né con la crisi del 2008 né col Covid. Cosa può fare lo Stato? Mettere un tetto agli aumenti. In questo momento il 150% invece del 300%, per fare un esempio, sarebbe già tantissimo. Se me lo avessero detto un anno fa avrei pensato di parlare con un pazzo”.