AGI - "Quando cominciamo a imparare l'italiano?". Natalia questa domanda se l'è sentita rivolgere più e più volte negli ultimi giorni, a Casa Monluè, il centro di prima accoglienza per i profughi a Milano dove al momento ci sono 70 famiglie ucraine, soprattutto mamme e bambini, destinate a diventare 90 tra qualche giorno. Tutti vorrebbero riuscire a mettere insieme qualche parola in italiano, "per farsi capire e anche per fare una domanda in modo educato, gentile. Per noi questo è molto importante" spiega all'AGI Natalia, chiarendo subito quel "noi". "Anche io sono ucraina e sono scappata dalle bombe, ho lasciato Khmelnytskyi, insieme alla mia bambina".
La parlata fluente la deve a un periodo della sua vita passato a Milano per lavoro. "Poi, sempre per lavoro, sono tornata in Ucraina, e mi sono fermata a vivere lì. Quando è scoppiata la guerra sono rientrata in Italia, che fortunatamente per me è anche un po' casa". Adesso, con la cooperativa Farsi Prossimo, che gestisce il centro, "ho la possibilità di dare una mano", e ce n'è un gran bisogno: lei è una maestra e mediatrice culturale.
"Mi chiedono tutti 'quando cominciamo a studiare' - racconta Natalia -. Qui abbiamo già allestito la sala. Gli insegnerò tutto quello che posso, ma ci vorranno almeno 4-5 mesi, per poter imparare il minimo necessario. Anche perché sono in tanti e non possiamo studiare tutti i giorni". A questo si aggiunge il fatto che le mamme devono prendersi cura dei loro bambini: al centro ce ne sono una quarantina, belli vispi. E al momento non sono ancora stati inseriti in alcuna classe.
"Con tutto il da fare, e con i piccoli, è impossibile concentrarsi". Ma l'ansia di riprendersi la vita è più forte di tutto. Le loro storie sono molto simili, "cominciano tutte il 24 febbraio" sottolinea Natalia. "Le donne arrivate qui, sono grate per quello che facciamo. E' un momento drammatico, sono molto preoccupate per i loro figli e i mariti rimasti a casa, non sanno cosa gli succederà domani. Non sanno cosa le aspetta, sono in una fase di stress e paure. Potrebbero rilassarsi un po’" adesso che sono fuori pericolo, "ma non ci riescono. Vogliono fare tutto e subito: è fisiologico in chi scappa dalla guerra. Stiamo cercando di gestire queste ansie multiple".
L'atmosfera tranquilla che si respira a Casa Monluè, un grande edificio giallo, del primo novecento milanese, tutelato dai beni culturali, aiuta. C'è tanto verde e un bel parco dove i bambini possono giocare. Come la piccola Lusilla che si diverte a zappettare la terra dell'orto. "Cercano di essere forti le donne ucraine, non solo per il morale dei loro figli ma perché fa parte della nostra cultura - spiega Natalia -: cercare di essere forti e avere pazienza. E comunque sanno, anzi sappiamo, che siamo fortunate a essere qui, rispetto a chi è rimasto a combattere per difendere la nostra patria. Io da cittadina ucraina, di questo sono consapevole". Adesso bisogna fare un lungo respiro e non avere troppa fretta.
"Per imparare la lingua ci vuole tempo. Anche per i documenti ci sono dei passaggi tecnici. Lo stesso vale per la casa, per trovare un lavoro, per la scuola per i bambini. Ci vuole tempo per organizzare".
Mentre parliamo con Natalia, incontriamo Valeriya, che conferma ognuna di queste aspettative. Lei è una giovane mamma arrivata a Milano dopo un viaggio "terribile e durato giorni" da Nikolaev, con la sua bellissima bambina di 9 anni.
Valeriya, laureata in lingue parla bene francese e inglese. La preoccupazione per il marito e i genitori rimasti in patria è fortissima e anche "il nervosismo, passo tutto il giorno a guardare le chat sul telefono". Ma finché resta in Italia vuole provare a guardare avanti. "A Milano ho una cugina. Lei conosce bene la città e le opportunità che offre. Vorrei lavorare e imparare l’italiano, per adesso conosco 4 parole: buongiorno, buonanotte, ciao e ...grazie".