AGI - La guerra in Ucraina e il conseguente stop alle importazioni anche di materie prime e di generi alimentari, con conseguente aumento dei prezzi, cambierà la nostra tavola, la nostra alimentazione? "Non la cambierà affatto - dice all'AGI Oscar Farinetti, patron di Eataly, la grande realtà italiana e internazionale di punti vendita di medie e grandi dimensioni specializzata nelle distribuzione di prodotti alimentari.
"Stiamo importando quasi niente da quei due paesi, Russia e Ucraina, ed esportiamo anche ma non in grande quantità", spiega. "Certo, non cambierà niente se la guerra si ferma qui e se la risolvono. Ma se le guerre si diffondono cambiano completamente le situazioni. Tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale qui da noi, in Piemonte, si metteva un’acciuga appesa a un filo e ci si strofinava sopra la polenta, per dirne una. Non c’è niente di più orribile delle guerre che trasformano le abitudini buone e sane dei cittadini del mondo. Sia quella di mangiare, che quella di amare, studiare, lavorare, che di sognare. Ci cambia tutto. Dannazione alle guerre! E poi, ancora una volta si è dimostrato che le guerre si fanno per niente o per stupidità di gente anziana che poi alle guerre non partecipa nemmeno. I giovani non vogliono e non fanno le guerre, le fanno i vecchi e mandano i giovani a morire".
È allarme grano. Corre il prezzo, al pari di quello del gas. Il grano duro è passato da 280 a 522 euro a tonnellata, il grano tenero da 186 a 307 euro. E la previsione è che per buona parte del 2022 i listini si possano mantenere ancora su livelli alti, a danno soprattutto delle imprese del settore, de panifici, delle pizzerie. “L’aumento del prezzo del grano è dovuto a due fattori", dice Farinetti. "Il primo è che ci sono state delle stagioni negative, una raccolta scarsa mentre magari la prossima sarà altissima e quindi si riequilibrerà, il secondo per la questione della guerra che in questo momento impedisce un’esportazione di grano da Russia e Ucraina. Il grano è la cosa più buona del mondo perché con il grano si fa il pane, la pasta, si fanno i cibi a base di carboidrati che, secondo me, sono insostituibili”.
Farinetti, ma dobbiamo preoccuparci per le scorte?
"Nel mondo si produce una quantità di grano sufficiente per nutrire tutto il mondo. Si producono 800 milioni di tonnellate di grano, suddivise in 750 milioni circa di grano tenero, quello che serve per il pane o la pizza, e una cinquantina di milioni di grano duro che serve più che altro per fare la pasta. Capitano poi delle stagioni in cui, come le ultime, c’è un raccolto scarso, e a quel punto si va un po’ in crisi. Oppure capitano delle situazioni mondiali, lo è la guerra, in cui Stati come la Russia e l’Ucraina, che ne producono in quantità notevoli, anche se non sono in assoluto in numeri uno, riducono le esportazioni. Intanto bisogna precisare che stiano parlando di grano tenero, perché tutti fanno una confusione clamorosa tra tenero e duro e parlano solo di grano mentre corre la stessa differenza che corre tra una bicicletta e una macchina da corsa".
Come si suddivide la produzione mondiale?
"Ucraina e Russia sono tra i più grandi produttori al mondo di grano tenero, ma per esempio la Francia è un altro grande produttore di grano tenero mentre noi italiani siamo dei piccolissimi produttori: produciamo 3 milioni di tonnellate, quindi pochissimo, sui 750 milioni che si fanno in tutto il mondo. Mentre invece siamo tra i principali, in certi anni anche i numeri uno al mondo, produttori di grano duro. Per esempio ne produciamo 4 milioni di tonnellate su 36 milioni che è stata l’ultima a produzione mondiale. Ci siamo noi, il Canada, gli Stati Uniti d’America e adesso sta entrando anche l’Australia".
Questa corsa ai prezzi che ricadute avrà sui consumi?
"Dobbiamo stare sereni e tranquilli e dobbiamo aspettare tempi migliori dove i prezzi torneranno ad essere più calmierati. Bisogna sì avere paura, ma non andare nel panico. Il grano non è sostituibile. Ad esempio, giorni fa i miei amici americani mi dicevano che stiamo spingendo molto gli gnocchi di patate negli Usa, perché la patata paradossalmente costa meno della semola, che è – lo ricordo - grano duro macinato mentre quello tenero macinato diventa farina e si usa per fare il pane. Noi produciamo poco grano tenero perché non abbiamo la cultura del pane, l’Italia non ha una sua propria cultura del pane, sono molto più bravi gli altri paesi europei, come la Francia, specie la mitteleuropa. Noi, invece, siamo cultori della pasta e della pizza, quindi abbiamo bisogno di un sacco di grano tenero per far la pizza e il pane mentre produciamo una buona quantità di grano duro che in certi anni potrebbe anche bastarci ma mediamente un 25-30% bisognerebbe importarlo".
Cosa dovrebbe fare l’Italia?
"L’Italia ha eliminato negli ultimi anni moltissimi ettari di coltivazione di grano tenero di maìs, perché rendono poco. Il prezzo mondiale è così basso che non si riusciva a pagare nemmeno il contadino. Secondo me occorre riprenderla la produzione di queste varietà, soprattutto il grano tenero in Italia, ma bisogna farlo in maniera assolutamente identitaria. La missione italiana è quella di piantare, seminare, le antiche cultivar di altissima qualità, che hanno la resa più bassa, e sicuramente in regime biologico. Anche se, tra parentesi, va detto che fare il regime biologico sul grano è molto complicato. Per il grano e il riso non è semplice come per la frutta, l’uva o l’oliva o altre cose. Richiede molta più attenzione ma si può fare. Quindi, secondo me, il futuro del nostro paese è aumentare le produzioni soprattutto di grano tenero ma anche di grano duro dove siamo già molto bravi, ne facciamo tantissimo ma se ne può fare ancora di più. In particolare specializzandosi su queste cultivar antiche, molto buone, saporite, ricche di proteine e di glutine, basse di ceneri, che ci aiuteranno a fare una pasta, un pane, una pizza fenomenali. Nei prossimi anni dobbiamo dedicarci soprattutto a questo".
E il biologico? Ci si dovrebbe puntare di più?
"Nel futuro, vorrei che il 100% dei prodotti italiani fossero biologici e se dipendesse da me, dichiarerei obbligatoria l'agricoltura biologica da tre a cinque anni".