AGI - Dopo 123 anni la Ferriera di Trieste si dissangua coi colori della guerra offrendo il costato alle macchine che la distruggono nel tumulto dei rossi e dei neri, nella rabbia e nella pietà.
È una carezza che stringe la gola il documentario presentato al Trieste Film Festival ‘L’ultimo calore d’acciaio’ dallo scrittore Francesco De Filippo e dal film maker Diego Cenetiempo, pronti a portare nei cinema e nelle rassegne lo spietato fulgore delle ultime ore di vita della montagna dell’acciaio.
Al suo posto, un’energia piana, pulita e silenziosa, un progetto di mastodontica purezza digitale dopo l’ultima, lasciva colata del 9 aprile 2020.
Lo sguardo degli autori trasforma le scintille di quel giorno in pizzi, il fuoco in fiore che si gonfia all’estremo sole, gli occhi degli operai in candele che tremano per un ultimo desiderio.
C’è posto per le interviste, i ricordi, la fratellanza lunga un secolo tra i lavoratori, le polemiche sul veleno che si è divorato l’aria e i polmoni nel quartiere Servola.
Ma sono l’inizio e la fine del documentario a incantare, mezz’ora di rapimento poetico in un tempo prima forsennato e poi dolce che mescola passato e futuro dentro al quale la vita che muore diventa vita che esplode.
Nelle bocche voraci delle gru, nei tonfi e nella fratture dei rottami guizzano il fascino della paura e la promessa della catastrofe, e poi è come se una luce dal mare risalisse verso il cielo, lieve tra le ferite, mentre un corpo si volta all’improvviso leggero, dopo un lunghissimo, pesante sonno.