AGI – Il primario Nicola Mumoli, uno dei medici più spesso in tv negli anni della pandemia “spinto dal dovere dell’informazione sanitaria”, chiede in una lettera inviata all’AGI “silenzio” ai suoi colleghi e ai giornalisti sulla vicenda del bimbo di due anni i cui genitori avevano negato il consenso a una trasfusione di sangue da donatori vaccinati e su altri casi simili.
"Bisogna saper maneggiare i temi del rispetto e del giudizio"
“Qui la scienza deve tacere perché non è affare suo – sancisce il medico degli ospedali di Magenta e Abbiategrasso, nel Milanese -. Qui ci si avventura sul terreno scivoloso e impervio dell’etica, della morale, della religione, della filosofia, della cultura, della giustizia, del dolore e dell’amore. Chi osa farlo deve essere un grande esperto non tanto di anticorpi o di plasma o di donazioni o di ematologia e infettivologia, ma deve saper maneggiare con cura i temi del giudizio e del rispetto. E questo non è affare né del medico di corsia né del ricercatore. Non ha senso spostare il fulcro del sangue dei vaccinati o dei non vaccinati senza chiedersi cosa farà quel bambino quando da adolescente scoprirà quanto accaduto; non è corretto riparlare per l’ennesima volta della sicurezza dei vaccini e accomunare il dolore confuso di quei genitori con le follie di un arto al silicone”.
"Il rischio di un'informazione scorretta e pericolosa"
Il rischio è che i medici che facciano considerazioni su questo tema “non abbiano gli strumenti e le competenze e diffondano un’informazione scorretta, pericolosa e dannosa”. Mumoli chiede un passo indietro anche ai media che potrebbero “favorire anche un comportamento di emulazione”. “E’ già accaduto – spiega – che, dopo la diffusione della notizia di Bologna, alcuni pazienti ci abbiano chiesto che con che tipo di sangue gli stessimo facendo una trasfusione”.
“Negli ultimi due anni il personale sanitario ha affrontato la più grave emergenza di tutti i tempi sforzandosi di coniugare l’attività di clinica e la ricerca col dovere dell’informazione sanitaria. Vinte anche alcune reticenze individuali o sperimentato nuove attitudini, abbiamo cercato e accettato il confronto mediatico credendo fosse prezioso identificare e condividere gli strumenti scientifici necessari, mentre più di rado abbiamo osato raccontare le vite e le morti dei nostri pazienti, il loro dolore e la loro speranza, i nostri sconforti e la nostra volontà di continuare o ricominciare”.
"Il confine tra informazione e propaganda"
Ora per Mumoli, di fronte a un tema come quello delle trasfusioni, “noi medici dobbiamo per primi fare un passo indietro e smettere di parlarne perché la storia del bimbo di Bologna rappresenta il confine tra informazione e propaganda. Chi vorrebbe lo facessimo deve darci tregua, capire che stavolta il silenzio è l’unica risposta. C’è ancora tanto lavoro da fare e tanta informazione da dare ma davanti a quel bambino e ai suoi genitori vorrei tanto che il mondo scientifico cedesse il passo e dimostrasse quando è il momento di tacere”.