AGI - Riportare in strada pezzi di vita arrugginiti, promuovere la mobilità sostenibile, elogiare la lentezza del Sud. Ma, soprattutto, fare della propria passione un lavoro. Nel Salento Carlo de Pascalis, 38 anni, ha riassunto tutto ciò in ‘Ferrovecchio’, solo una idea sei anni fa ma dal 2019 un marchio e poi, l’anno seguente, un brevetto. Un artigiano poeta, che letteralmente interroga pezzi di biciclette in disuso, destinate a finire in discarica o dimenticate, e ne ricostruisce la storia, tecnica, meccanica e soprattutto affettiva. Bici diventate gioielli nuovi, perfettamente funzionanti.
A Maglie, in provincia di Lecce, ha sede l’officina da elettrauto di de Pascalis; pardon, “di meccatronica – precisa all’AGI - come è preferibile dire oggigiorno. Anche se io sono un romantico che guarda al futuro senza mai prescindere dal passato”. Ci è cresciuto da bambino in un’officina, quella del padre, Carlo, e in quel contesto ha imparato il mestiere e l’ha evoluto verso orizzonti nuovi da perfetto millennial. Ha iniziato con le auto, che sono state la sua palestra, e poi ha deciso di mettere mano là dove altri avevano gettato la spugna, sfidando le leggi del tempo per occuparsi di vecchie bici, motorini, vespe e camioncini di prossima demolizione.
Quegli oggetti da cui ha creato una linea di merchandising. “Ogni ferro vecchio ha una storia da raccontare e per raccontare una storia ci vuole passione, senza ciò sarebbero solo mezzi - racconta Carlo - ho cominciato per accontentare me stesso da una moto, una Harley Davidson di fine anni ’40. Un restauro lungo, dispendioso. Occorrono conoscenza e danaro e ci sto dietro da tanto. Man mano sono stato contattato da persone che mi hanno portato i loro mezzi e li hanno voluti riscoprire. Mi sono detto, ‘in fondo custom è un termine che vale tanto per le moto quanto per furgoni, vespe, biciclette’. E ci ho lavorato”. Carlo de Pascalis non è certo il meccanico sui rivolgersi per controllare fusibili e batteria tout court, ché sarebbe uno spreco.
“Io ascolto i prodotti, ne scopro il valore – spiega - ai clienti chiedo il perché del restauro, se è di natura affettiva o meno, se c’è una storia dietro. Se mi porti una bici di poco valore il cui restauro richiede 700-1000 euro, lo fai perché ha un valore intrinseco. Altrimenti la acquisteresti nuova”.
E per permetterci un tuffo nel passato e nei ricordi, rifà ruote e meccanica, spesso in veicoli fermi da 30 anni, che vengono sistemati affinché funzionino e abbiano una seconda opportunità di vita. Chi bussa alla porta di Ferrovecchio ha poesia nel cuore e voglia di riscoprire, oltre la ferraglia, la sua storia e identità. In quell’officina arrivano la bici del nonno, del papà che non c’è più, “la mia vespa di adolescente, quella di un amico che si è sposato dopo aver perso il padre e lo ha voluto comunque avere accanto attraverso il due ruote, due bici del nonno per una coppia di neo sposi…”.
La prima bicicletta tornata in vita attraverso le mani di Carlo era quella dello zio, un velocipede degli anni ’80 acquistato in un negozio di Maglie che ha abbassato la serranda da tempo. Tratto distintivo dell’ restauratore sognatore, il rispetto della natura e dell’identità fisica di ogni singolo pezzo lavorato e assemblato: “Sono distante dal colore, faccio restauro conservativo, resto legato alla ruggine perché anche quella è storia, vita, ma c’è comunque chi vuole colori sgargianti”.
Mentre si sporca le mani di grasso e annusa gli ingranaggi di un altro ferro vecchio pronto a procedere lento lungo le coste selvagge e l’entroterra verde del Salento, Carlo de Pascalis torna al periodo poco prima della pandemia.
“Era il 2019, non immaginavamo cosa sarebbe accaduto di lì a poco. Avevo realizzato un sogno, entrare in possesso di un furgoncino Wolkswagen 9 posti dell’85, fermo a Maglie e destinato alla rottamazione. Aveva un’anima e gliel’ho tirata fuori. L’ho per così dire camperizzato e ci ho fatto il giro d’Europa, passando per Francia, Svizzera, Germania, Paesi dell’Est, Bosnia, Montenegro, Albania, Croazia, Liechtenstein, Grecia , Brindisi. Oggi è il mio mezzo”, ricorda.