Blitz nel foggiano contro il caporalato. Coinvolta anche la moglie del prefetto
AGI - Utilizzavano manodopera costituita da decine di lavoratori africani, per la coltivazione di terreni agricoli di proprietà, in condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno derivante dalle condizioni di vita precarie e dalla circostanza che essi dimoravano presso baracche e ruderi fatiscenti della baraccopoli dell' "ex pista" di Borgo Mezzanone, pretendendo dagli stessi anche del denaro sia per il trasporto che per l'intermediazione.
È quanto hanno scoperto i carabinieri del comando provinciale di Foggia che, al termine delle indagini coordinate dalla procura, hanno arrestato cinque persone - due in carcere e tre ai domiciliari - e altre 11 hanno avuto l'obbligo di dimora e di presentazione alla polizia giudiziaria. Tra gli undici indagati, che hanno avuto l'obbligo di dimora, anche la moglie del prefetto Michele Di Bari, originario della provincia di Foggia e, dal 2019, capo del Dipartimento per le Liberta' Civili e l'Immigrazione, alle dipendente del Ministero dell'Interno.
Il prefetto Di Bari, dopo aver appreso la notizia del coinvolgimento della moglie nell'inchiesta, si e' dimesso. Per tutti le accuse sono di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Nel corso delle indagini, da luglio a ottobre 2020, gli inquirenti avrebbero scoperto un sistema di selezione, reclutamento, utilizzo e pagamento della manodopera messo in piedi dai caporali e proprietari delle aziende.
Gli inquirenti avrebbero verificato che un cittadino gambiano di 33 anni - già coinvolto in una operazione anti caporalato - coadiuvato per gran parte delle sue illecite attività da un 32enne senegalese, anch'egli domiciliato nell'ex pista, era "l'anello di congiunzione" tra i rappresentanti di dieci aziende agricole del territorio nel settore agricolo e i braccianti.
Alla richiesta di forza lavoro avanzata dalle aziende, i due extracomunitari si sarebbero attivati reclutando i braccianti all'interno della baraccopoli, provvedendo al loro trasporto presso i terreni. Stessi extracomunitari che avrebbero sorvegliato i braccianti durante il lavoro, pretendendo, 5 euro per il trasporto e altre 5 euro da ogni bracciante per l'attività di intermediazione.
È stato accertato che il gambiano si occupava anche di dare specifiche direttive ai braccianti sulle modalita' di comportamento in caso ispezione da parte dei carabinieri. Caporali, titolari e soci delle aziende avevano messo in piedi un apparato - gli inquirenti lo definiscono "quasi perfetto" - che andava dall'individuazione della forza lavoro necessaria per la lavorazione dei campi, al reclutamento della stessa, fino al sistema di pagamento, risultato palesemente difforme rispetto alla retribuzione stabilita dal contratto nazionale del lavoro, nonché dalla tabella paga per gli operai agricoli a tempo determinato della provincia di Foggia.
Le buste paga, infatti, sono risultate non veritiere, poiché nelle stesse erano state indicate un numero di giornate lavorative inferiori a quelle realmente prestate dai lavoratori, senza tener conto dei riposi e delle altre giornate di ferie spettanti. I lavoratori, tra l'altro, non erano stati neanche sottoposti alla prevista visita medica. Il gip del tribunale di Foggia ha anche disposto il controllo di dieci aziende agricole, riconducibili a 10 dei soggetti colpiti da misura cautelare. Stando agli inquirenti il volume d'affari di queste aziende era di circa cinque milioni di euro.