AGI - Mytilene ci accoglie con il sole. Dal capoluogo di Lesbo, fino a qualche anno fa meta turistica e ora isola simbolo del dramma dei migranti, sorge, a una decina di chilometri dal porto, il campo Mavrovouni, il Reception and Identification Centre di Mytilene, un'area attrezzata per l'accoglienza dei rifugiati. Sostituisce il centro di accoglienza e identificazione di Moria, che e' stato il piu' grande campo profughi d'Europa fino al settembre 2020, quando fu distrutto da un incendio (e che Papa Francesco aveva visitato il 16 aprile 2016).
La nuova area attrezzata, che può "ospitare" fino a 8 mila persone (secondo la Caritas locale al momento ve ne sono 2.200), è chiamata spesso dai greci "Moria 2.0". Si varca il cancello con le sue recinzioni di filo spinato. Il sole spunta più prepotente dalle nuvole. Le piogge dei giorni scorsi hanno lasciato pozzanghere di fango tra i container di lamiere (forni in estate e gelidi in inverno).
È la terra di nessuno, un limbo dei "dannati" che l'Europa non vuole vedere (o fa finta) e che non vuole accogliere, con un gioco di rimbalzo delle responsabilità tra gli Stati.
Qui al campo di Mytilene, al Moria 2.0, affacciato su uno splendido mare, i bianchi container sono disposti ordinati sulla distesa di ghiaia. Ma di ordinario non vi è nulla. Le condizioni in cui vivono le migliaia di rifugiati sono una vergogna per l'Occidente occupato a erigere muri e allungare filo spinato: non c'è fogna e spesso manca acqua corrente ed elettricità.
Difficile non lasciarsi commuovere dalle storie di persecuzioni, violenza, guerre, di coloro che occupano il campo. Colpisce il loro sguardo, ferito ma al tempo stesso fiero. Oggi vedranno Papa Francesco che torna tra gli ultimi degli ultimi e i loro occhi si riempiono di speranza. Tantissimi i bambini, molti in tenera età, che cantano e giocano, come solo i bambini sanno fare, anche nella desolazione.
Incontriamo Jasmine e la sua sorellina. Vengono dall'Afghanistan e la piccola vuole presentarci Kitty, il suo gattino accoccolato nel braccio. Dall'Afghanistan viene anche Mohammad. Lui, sua moglie e sua figlia sono fuggiti dai talebani, e hanno impiegato 3 anni per arrivare a Lesbo.
Dopo aver attraversato a piedi l'Iran e la Turchia, riescono a imbarcarsi su un mezzo di fortuna, solo dopo aver pagato una quota di 900 dollari a testa. Le storie sono tante e si ripetono. Vemba e sua figlia Lydie, Rosette dal Congo con la piccola Maduda, nata proprio a Lesbo il 21 settembre scorso.
E poi Abdal con la sua famiglia dal Camerun e Raz fuggito dalle persecuzioni e dalle violenze subite in Afghanistan. Mentre parliamo chiediamo il permesso di scattare qualche foto. Una mamma intenta a ordinare i capelli alla figlia, si copre il capo, un'altra lascia volentieri che il suo bimbo sia fotografato ma lei no e si copre il viso con una mano, un papà con il braccio il suo figlioletto di due anni si volta verso di noi e alza il piccolo in direzione dell'obiettivo.
"Non dimenticatevi di noi", ci dice sorridendo. Sicuramente non lo faremo. Impossibile dimenticare il loro sguardo, i loro occhi, il loro volto. Solo chi ha paura di loro non ha guardato questi nostri fratelli negli occhi, non ha visto i loro volti, non ha visto i loro bambini, come disse il Patriarca ecumenico Bartolomeo.