AGI - È un rito noto in tutto il mondo, e sono davvero pochi i turisti giunti a Roma che non dedicano almeno mezz'ora alla Fontana di Trevi, non tanto e non solo per la magnificenza della vasca settecentesca, ma per il classico lancio della monetina, cui da anni si è affiancato l'altrettanto immancabile selfie.
Un rito che affonda le sue origini nella storia secolare dell'Urbe, a cui non si sono sottratti nemmeno i grandi del mondo riuniti al G20, che guidati da Mario Draghi, rigorosamente di spalle come impone la tradizione, hanno lanciato la monetina propiziatoria. Un gesto visto ormai come un generico rito apotropaico e di buon augurio, mentre la leggenda "originale" associa il lancio a una garanzia evidentemente ambita tanto quanto la buona salute o l'amore: il ritorno almeno un'altra volta nella vita nella Città Eterna.
Come cantava Renato Rascel nella sua più celebre canzone, 'Arrivederci Roma': "Te trovi Fontana de Trevi tutta pè te! Ce sta 'na leggenda romana legata a 'sta vecchia fontana per cui se ce butti un sordino costringi il destino a fatte tornà. E mentre er sordo bacia er fontanone la tua canzone in fondo è questa qua! Arrivederci, Roma... good bye...au revoir...".
Ma da dove nasce la leggenda?
La tesi più accreditata è che a iniziare la tradizione sia stato Wolfgang Helbig, grande archeologo tedesco dell'Ottocento, di stanza a Roma come tanti suoi connazionali, come il Gregorovius, e brillante protagonista dei salotti dell'epoca, negli ultimi anni del potere papale e nei primi della nuova Roma sabauda, dove proprio gli intellettuali mitteleuropei convenivano e si scambiavano opinioni, amicizie e pettegolezzi.
Un'atmosfera di grande fervore culturale ma anche anni di "vacanze romane", dipinti magistralmente proprio da Gregorovius nei suoi Diari romani, che lasciava un ricordo struggente ai suoi protagonisti nel momento del ritorno in patria.
Proprio per lenire questa malinconia Helbig, "archeologo mondano" per eccellenza, inventò il rito-gioco della monetina, incantesimo in grado di rassicurare i suoi nordici compagni di studi e di soggiorno sul garantito ritorno sotto il cielo azzurro dell'Urbe. Un'idea apprezzatissima e ben descritta, con ammirazione, da un gigante come lo storico Theodor Mommsen: "La felicità dei tempi romani, la grazia, la tranquillità, la gaiezza, la pienezza della vita e della convivenza romana legano tutti coloro che sono arrivati a Fontana di Trevi in un legame con Roma e insieme in un legame reciproco di comunanza duratura...".
Tuttavia, secondo gli storici l'origine sarebbe ancora più antica: gli antichi romani già millenni fa usavano lanciare monete in corsi d'acqua, fiumi, laghi e anche fontane, per accattivarsi i favori delle divinità acquatiche e attirarsi la buona sorte per esempio alla vigilia di un viaggio. Che la fontana abbia un'aura "magica" lo dimostra anche l'altra usanza tradizionale nella roma papalina: quando un giovane doveva lasciare la Capitale, la fidanzata lo accompagnava alla Fontana di Trevi per berne l'acqua da una coppa mai usata, che veniva poi rotta: in questo modo l'amore diventava infrangibile malgrado la distanza.
Oggi il rito della monetina è necessariamente modernizzato e ha perso le due caratteristiche principali: la moneta, secondo la leggenda, dovrebbe essere fuori corso, e al lancio andrebbe seguita una copiosa bevuta dell'acqua Vergine che sgorga dalla fontana, cosa impossibile perchè l'acqua è di ricircolo e non è potabile. Dollari, euro, yen: ogni giorno monete per un valore equivalente di 3mila euro vengono raccolte dagli addetti del Comune, e poi indirizzate a opere di carità tramite la Caritas.
In ogni caso l'attrazione per la Fontana, unico vero monumento "pop" di Roma, non scema, anzi: canzoni, libri, soprattutto film ne hanno ringiovanito il mito e lo hanno reso, appunto, pop: 'La dolce vita', in primis, ma anche la mitica (finta) vendita della fontana stessa in 'Totò truffa', e poi l'omaggio in 'C'eravamo tanto amatì. Un fascino e una magia cui anche i leader del mondo hanno portato omaggio, mettendosi per una volta in secondo piano rispetto alla maestosità di un monumento che, da secoli, ruba la scena.