AGI - È durata due ore e mezza la seconda udienza del maxi-processo per la gestione dei fondi della Segreteria di Stato vaticana nella Sala polifunzionale dei Musei Vaticani, allestita come Aula di Tribunale.
Un processo che rischia l'annullamento, dopo che il Pg aggiunto ha chiesto il suo azzeramento mentre per i difensori è da considerarsi nullo per la mancanza di una testimonianza chiave al procedimento stesso, la testimonianza di monsignor Alberto Perlasca, responsabile dell’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato fino al 2019.
Alle 9:30 è prevista la decisione della Corte, presieduta dal presidente Giuseppe Pignatone che scioglierà la riserva sulla "maxi richiesta delle parti", come l'ha definita lui stesso.
Il processo ruota intorno alla compravendita-truffa di un immobile di prestigio nel quartiere Chelsea nel centro di Londra, costata alla Santa Sede una cifra stimata tra i 77 e i 175 milioni di euro.
Dieci gli imputati, tra cui il più illustre è il cardinale Angelo Becciu, all'epoca dei fatti Sostituto agli Affari generali. La "prova regina" quindi è la testimonianza di monsignor Perlasca, ex braccio destro di Becciu, e suo maggior accusatore.
Nelle lunghe indagini è stato interrogato 5 volte, due come imputato e altre tre come persona informata sui fatti. I difensori accusano i Pm di non voler permettere l'accesso alla registrazione audio-video delle sue deposizioni e chiedono di acquisire tutto il materiale, circa 5 ore, altrimenti il processo è da considerarsi nullo.
Agli atti infatti vi è solo un verbale molto stringato, in cui mancano molte parti della testimonianza e mancano tutte le domande. Il Pg aggiunto Alessandro Diddi ha motivato l'assenza agli atti del materiale per tutelare la privacy dello stesso Perlasca e delle persone da lui citate.
Però se la richiesta di Diddi venisse accolta, ossia “azzerare il processo fatto fino a ora per procedere a un corretto interrogatorio davanti al promotore di Giustizia”, l'interrogatorio di Perlasca andrebbe perso in quanto non figura più tra gli imputati.
Se Diddi da una parte parla di "andare incontro" e sentire "gli imputati che finora non sono stati sentiti" (richiesta accolta dalla parte civile, ossia Santa Sede, Apsa e Ior), dall'altra le difese definiscono "del tutto irricevibili” le istanze di Pg aggiunto inoltrando la richiesta di nullità del processo.
A loro dire sarebbe da considerare nullo il decreto di citazione a giudizio, sia per la mancanza dell’interrogatorio di alcuni imputati, sia per la mancanza di completezza degli atti, in particolare l'interrogatorio diu Perlasca.
A riprova della sua richiesta, Diddi ha accusato la stampa parlando di “attacchi violenti a questo Ufficio e al Tribunale” da parte di alcuni media, secondo i quali “c’è una sentenza di condanna già scritta”.
“Non è un atteggiamento corretto, sono forzature per inficiare l’imparzialità dei giudici”.
Quanto a presunte “prove false” infiltrate negli atti, sempre a detta di alcune testate, il promotore ha affermato che “questo processo sta nascendo come montatura di polemiche fuori dalle righe. Diteci quali sono queste prove false perché vogliamo indagare su chi le ha costruite”.
Pronta la replica di Pignatone: “Tutto quello che viene citato in polemiche giornalistiche è irrilevante a questo Tribunale, conta quello che c’è negli atti. Soprattutto quando riusciremo nell’impresa di avere una completezza degli atti”.
A conclusione delle due ore di udienza, il promotore di Giustizia ha replicato, punto per punto, alle accuse dei difensori, invitati a mantenere un atteggiamento “sereno” da parte di Pignatone.
“Nessuno vi vuole privare di nulla. Non abbiamo detto che non vogliamo dare i video ma abbiamo chiesto la possibilità di tutelare la riservatezza di terzi”, ha detto in riferimento all’interrogatorio di Perlasca.
Pignatone ha fatto notare che la difesa deve però avere a disposizione tutti gli atti. Si parla di oltre 300 Dvd per un costo di quasi 371mila euro:
“Non è facile”, ha ribattuto il promotore aggiunto. Per questo l’accusa ha fatto una scelta del materiale realmente rilevante per il processo. Ma tali dati dovevano essere espunti prima della citazione in giudizio, ha replicato Pignatone. Diddi ha ammesso che quello è stato un errore.