AGI - Il Nobel per la Fisica che torna in Italia, a Roma per di più, quasi un secolo dopo il mito dei ragazzi di via Panisperna, rilancia il tema dei finanziamenti alla ricerca: servirebbe in finanziaria un investimento da un miliardo di euro, in un Paese al momento ancora "non ospitale" con i ricercatori.
Perchè non tutto, conoscenza compresa, si può comprare all'estero, come è apparso evidente con la crisi Covid. Il neo Premio Nobel Giorgio Parisi, a colloquio con l'AGI, riflette sul ruolo della scienza nel post Covid e su quali sono gli insegnamenti, le criticità che colpiscono il nostro sistema sanitario e di ricerca.
Un messaggio che rivolge al governo è di aumentare i fondi, perché la crisi sanitaria ci ha dimostrato che abbiamo bisogno di scienziati nel nostro Paese.
Si aspettava di essere il Premio Nobel per la Fisica nel 2021?
No, non me lo aspettavo ma sapevo che era una delle possibilità. Ma avevo ricevuto il premio Wolf e circa in un terzo delle occasioni viene seguito dal Nobel. Sapevo quindi che c'erano delle possibilità ma non mi aspettavo che avvenisse già quest'anno, così subito. Le cose sono andate meglio del previsto.
Dove era quando ha ricevuto la telefonata?
A casa con i telefoni vicino. A chi mi chiedeva io rispondevo che a essere ottimisti avevo un 20 per cento di probabilità di vincere. Quindi volevo saperlo velocemente.
L'ha chiamata il Presidente Draghi?
Credo di sì, ho trovato due chiamate dal centralino di Palazzo Chigi ma non sono riuscito a rispondere. Ieri ero talmente subissato di chiamate che alle 12:00 non ho più risposto a nessuno. In maniera fortunosa, ho visto il numero del Quirinale e ho risposto al Presidente Mattarella.
Ieri gli studenti de La Sapienza l'hanno abbracciata alla notizia
Sì c'è stata una grande manifestazione di affetto di cui sono molto contento.
Il suo premio è uno stimolo per i giovani ricercatori?
Le giovani generazioni sono chiaramente entusiaste, il problema è che questo paese, attualmente, non è ospitale per i ricercatori e quindi io spero che il governo si muova in loro favore e che la finanziaria di quest'anno possa essere sostanziosa per la ricerca ed arrivare a qualcosa come 1 miliardo di euro.
Con il Covid è cambiato il ruolo della scienza?
Io spero che il Covid abbia in qualche modo sottolineato l'importanza della scienza e di avere la scienza in Italia. C'era una volta l'illusione che uno poteva limitarsi a comprare i brevetti dall'estero, però non è la stessa cosa. Questo è l'esito della globalizzazione e ce ne siamo resi conto quando servivano le mascherine e non avevamo produttori in Italia.
Contare sulle linee lunghe di trasporto va bene quando tutto va bene, altrimenti quando c'è una crisi le cose vanno male. Lo vediamo con i chip dei computer, un mio amico li sta comprando ora e glieli consegneranno nel 2026.
Cosa dobbiamo imparare dalla crisi sanitaria?
Quello che è stato molto importante è che tutte le università, il CNR, specialmente nel primo periodo si sono mobilitati per fare i test. È importante avere avuto degli scienziati sul posto.
Servono epidemiologici sul posto. In Italia si è fatta una politica sbagliata sulle cattedre di epidemiologia a cui non è stato dato molto spazio con l'idea che le epidemie avvenissero altrove.
Abbiamo eccellenti epidemiologi in Italia, ma sono pochi e aggiungo che in periodo di crisi avere la scienza nel paese è fondamentale. Spero che il covid abbia fatto capire al governo, ma anche all'opinione pubblica l'importanza del finanziamento alla ricerca.