AGI – “Svelare mandanti e depistatori nascosti nelle strutture dello Stato rafforza la nostra democrazia e restituisce dignità al Paese”: è schietto il manifesto scelto dai parenti delle vittime per il 41esimo anniversario della strage del 2 agosto 1980.
Un appello alla piena verità che affianca il nuovo processo sui mandanti dell’attentato più sanguinario dal Dopoguerra.
La mattina di sabato 2 agosto, alle 10.25, una bomba di grande potenza esplode alla stazione ferroviaria di Bologna. La deflagrazione fa crollare un tratto del fabbricato lungo 50 metri, che ospita i locali del ristorante e delle sale di attesa di prima e seconda classe.
I morti sono 85 e oltre 200 i feriti. Tra le macerie alla ricerca dei corpi sepolti scavano anche a mani nude, pompieri, vigili urbani, forze di polizia, ma anche semplici cittadini. Polvere, grida e sangue.
Dopo 41 anni il tassello mancante sul fronte delle verità processuali è sempre legato ai mandanti. Tuttavia parenti e istituzioni confidano su un capitolo ancora tutto da scrivere che, ormai dal 16 aprile scorso, va in scena ogni mercoledì e venerdì davanti ai giudici della Corte di assise di Bologna.
Nel nuovo processo sulla strage del 2 agosto, il principale imputato è Paolo Bellini, ex esponente di Avanguardia Nazionale, ritenuto dalla Procura generale tra gli esecutori dell’attentato che agì come ‘quinto uomo’ in concorso con gli ex Nar Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini (condannati in via definitiva) e con Gilberto Cavallini (condannato in primo grado).
Seguendo la ‘pista’ dei soldi, i pg hanno dato un nome a quelle che ritengono le quattro ‘menti’ della strage. Così, da morti sono stati accusati Licio Gelli, maestro venerabile della loggia massonica P2 e Umberto Ortolani come mandanti-finanziatori; l'ex capo dell'ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno Federico Umberto D’Amato indicato come mandante-organizzatore; Mario Tedeschi, direttore della rivista “Il Borghese” ed ex senatore dell’Msi considerato organizzatore per aver coadiuvato D’Amato nella gestione mediatica della strage - preparatoria e successiva - nonché nell’attività di depistaggio delle indagini.
Per la procura generale l'attentato fu finanziato dalla P2
Per la procura generale, la strage di Bologna fu quindi finanziata da un flusso di milioni di dollari di matrice piduista e l’attentato, sempre secondo questa interpretazione dell’accusa ancora al vaglio dei giudici, non fu ascrivibile allo spontaneismo armato.
Il nuovo processo parte da lontano. La Procura generale di Bologna, infatti, aveva avocato a sé l’inchiesta sui mandanti nell’ottobre del 2017 dopo che la Procura ordinaria aveva chiesto l’archiviazione del fascicolo. Determinante per l’inchiesta è stato il contributo dell’Associazione dei familiari delle vittime che presentò una corposa memoria.
La prima svolta nel nuovo processo c’è stata il 21 luglio scorso quando l’ex moglie di Paolo Bellini ha riconosciuto l’allora marito come l’uomo che compare in un filmato amatoriale girato da un turista straniero alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980 poco dopo lo scoppio della bomba.
Dal canto suo l’ex Primula nera, nella prima udienza, ha concesso poche ma significative parole ai cronisti: “Mi sento come Sacco e Vanzetti” ha detto Bellini paragonandosi dunque ai due anarchici italiani giustiziati da innocenti sulla sedia elettrica a Boston nel 1927.
Intanto, dopo lo stop dovuto alla pandemia torna il tradizionale corteo per celebrare l’anniversario. E in strada sfilerà ancora l’autobus 37: è uno degli emblemi della reazione di Bologna-comunità al terrorismo perché si trasformò, subito dopo lo scoppio della bomba, in un improvvisato pronto soccorso mobile, e nelle ore successive in un vero e proprio carro funebre per le vittime dell'attentato terroristico facendo da spola, fino a notte fonda, dalla stazione all'obitorio.
A fianco del bus ci sarà, per la prima volta anche la storica autogru Fiat Cristanini dei Vigili del fuoco, uno dei primi mezzi ad arrivare in stazione per rimuovere le macerie e cercare i sopravvissuti.