AGI - “Sentenze di condanna a metà che restano ‘appese’. Una giustizia dimezzata che scontenta tutte le parti”. E’ questo il pericolo che Fabio Roia, presidente della sezione autonoma delle misure di prevenzione del Tribunale di Milano, intravvede come conseguenza dell’improcedibilità dei processi qualora non si riesca entro due anni a celebrare l’appello, una delle innovazioni più importanti della riforma della giustizia firmata dal Ministro Marta Cartabia.
"Il rischio di appesantire ancora di più la giustizia civile"
Il tema è che fine faccia un’ipotetica sentenza di condanna se la giustizia non si dovesse velocizzare come auspicato dal governo Draghi per mettersi al passo coi Paesi più virtuosi dell’Europa.
“Siamo di fronte a una scommessa dell’ignoto – spiega all’AGI l’esperto magistrato, già pubblico ministero e componente del Csm - poniamo che una persona venga condannata in primo grado e le Corti non riescano a smaltire l’appello in due anni, tenendo presente che, soprattutto al sud dove ci sono grandi processi di criminalità organizzata, il ‘collo di bottiglia’ è rappresentato proprio dall’appello. La pena non è eseguibile perché non c’è stato il giudizio d’appello ed è come se quell’appello non sia mai stato celebrato se non per gli effetti civili sui quali però se la deve vedere il giudice civile con un appesantimento della giustizia civile”.
Una ipotetica vittima dovrebbe rivolgersi, secondo la riforma, al giudice civile al quale il giudice penale dovrebbe trasmettere gli atti. “E' vero che questo accade già – osserva Roia – quando il giudice non può determinare l’ammontare del danno da macrolesione e si devono valutare dei parametri che sono di competenza del giudice civile. In quei casi, il giudice penale stabilisce una provvisionale e trasmette al giudice civile. Ma qui si aggiungerebbe un nuovo 'peso' su un settore già gravato”.
"Aumenterebbero anche le impugnazioni in appello"
Al di là del tema degli effetti civili, Roia insiste sul concetto di “mezza giustizia e condanna appesa”. “E’ vero che il condannato può rinunciare all’improcedibilità ma chi lo farà? Finirà che avremo un condannato che lo è anche dal punto di vista morale e una vittima che vede l’imputato condannato ma non in modo definitivo e si chiederà perché non lo veda espiare la pena”.
“Questo tipo di riforma presuppone uno 'smaltimento' dei reati da parte delle Corti d’Appello che dubito possa avvenire solo immettendo delle risorse nella giustizia perché il problema degli appelli è che sono una duplicazione esatta delle sentenze di primo grado – prosegue il giudice -. Servirebbero dei limiti alla possibilità di fare appello, piuttosto”.
Roia propone un paragone ‘sanitario’: “Se non riusciamo a curare cento persone e ne ammazziamo ottanta i conti tornano ma non può essere questa una soluzione valida”.
Un altro effetto ‘paradosso’ che individua Roia è che “potrebbero aumentare le impugnazioni in appello fatte da chi spera che non si arrivi entro due anni alla sentenza confidando nell’improcedibilità”.