AGI - Nell’anno della pandemia, “il digitale ha dimostrato di poter essere al servizio dell’uomo, ma non senza un prezzo di cui bisogna avere consapevolezza: l’accentramento progressivo, in capo alle piattaforme, di un potere che non è più soltanto economico, ma anche - e sempre più - performativo, sociale, persino decisionale”.
E' lo scenario disegnato nella sua Relazione annuale alle Camere dal Garante della privacy Pasquale Stanzione. “Un potere – ha avvertito Stanzione - che si innerva nelle strutture economico-sociali, fino a permeare quel ‘caporalato digitale’ rispetto ai lavoratori della gig economy, protagonisti (anche in Italia) del primo sciopero contro l’algoritmo: gli ‘invisibili digitali’, come da taluno sono stati definiti”.
“A partire dai primi mesi di lockdown – ha ricordato il Garante - e con effetti, tuttavia, verosimilmente destinati a perdurare, alle piattaforme è stata affidata la stragrande maggioranza delle nostre attività quotidiane; la parte più significativa degli scambi commerciali è avvenuta on line, persino le prestazioni sociali più rilevanti (dalla scuola all’università, dai servizi amministrativi alla giustizia) sono state erogate da remoto. I
n fondo, se il distanziamento fisico imposto per esigenze sanitarie non è divenuto anche sociale, lo si deve alle nuove tecnologie, capaci di ricreare nello spazio virtuale quei legami impediti nel reale, pur costringendoci a ripensare il sistema delle garanzie nel passaggio dall’off line all’on line.”.
E' proprio questo “il nodo di fondo del capitalismo delle piattaforme: l’esigenza di una loro cooperazione nell’impedire che la rete divenga uno spazio anomico dove impunemente si possano violare diritti, senza tuttavia ascrivere loro un ruolo arbitrale rispetto alle libertà fondamentali e al loro bilanciamento, da riservare all’autorità pubblica”.
Per il presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, “la responsabilizzazione delle piattaforme sarà determinante tra l’altro per contrastare la manipolazione delle notizie che, nello scorso anno, ha assunto i tratti di una vera e propria infodemia.
L’autodeterminazione informativa è il necessario presupposto di scelte libere e consapevoli, in un contesto in cui servizi apparentemente gratuiti sono invece pagati al caro prezzo dei nostri dati e, quindi, della nostra libertà. Perché ‘quando è gratis, il prodotto sei tu’”.
E “l’autodeterminazione informativa è determinante per un governo sostenibile della società (e dell’economia) delle piattaforme".
Per il Garante, "una più netta presa di coscienza del valore dei propri dati è l’unico, effettivo baluardo contro il rischio della monetizzazione della privacy, che rappresenta oggi la vera questione democratica nel governo della rete.
Da un lato, infatti, la zero price economy ha reso prassi ordinaria lo schema negoziale ‘servizi contro dati’; dall’altro, riconoscere la possibilità della remunerazione del consenso rischia di determinare una rifeudalizzazione dei rapporti sociali, ammettendo che si possa pagare con i propri dati e, quindi, con la propria libertà”.