AGI - Sono chiamati 'nativi digitali', eppure una percentuale significativa di studenti mostra evidenti lacune nella conoscenza e l’utilizzo degli strumenti tecnologici, nonostante nell’ultimo anno abbiano vissuto in una 'dimensione digitale'.
Un quinto dei ragazzi non è ancora in grado di eseguire semplici operazioni utilizzando gli strumenti informatici, come condividere uno schermo durante una chiamata con Zoom (11%), scaricare un documento condiviso da un insegnante sulla piattaforma della scuola (29,3%), utilizzare un browser per l’attività didattica (32,8%).
E' quanto emerge dall'indagine pilota condotta da Save the Children in occasione della campagna 'Riscriviamo il futuro', per combattere la povertà educativa e digitale, con l’invito a firmare il Manifesto scritto in collaborazione con i ragazzi, che chiedono di uscire dall’invisibilità e di essere al centro delle politiche di rilancio del Paese, con maggiore attenzione alla scuola e alle opportunità educative.
Un risultato - viene spiegato nell'indagine condotta da Save the Children - che non dovrebbe stupire se consideriamo che l’82% dichiara di non aver mai utilizzato prima della pandemia il tablet a scuola, percentuale che si assesta al 32.5% per la lavagna interattiva multimediale (Lim).
Una nuova povertà educativa
Si configura pertanto una nuova dimensione della povertà educativa, la povertà educativa digitale, cioè la privazione delle opportunità per apprendere, ma anche sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni, attraverso l’utilizzo responsabile, etico e creativo degli strumenti digitali.
"Oggi non possiamo perdere - afferma Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children - l’occasione del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza, che deve mettere al centro il diritto all’educazione di qualità per tutti, portando a sistema le migliori esperienze realizzate sul campo e che tenga conto della trasformazione digitale in atto.
L'impatto del Covid
Nell’ultimo anno, infatti, a causa dell’isolamento che i minori hanno vissuto, chiusi in casa, senza le necessarie esperienze relazionali e un tempo-scuola tradizionale vissuto in presenza, sono emersi tutti i limiti delle loro conoscenze e competenze nel mondo digitale. Occorre pertanto - conclude - agire non solo per garantire ai bambini e agli adolescenti l’accesso alle reti e agli strumenti tecnologici, ma anche e soprattutto per consentire loro l’acquisizione delle competenze digitali necessarie".
Secondo l'indagine di Save the Children, come per le altre dimensioni della povertà educativa, emerge che la condizione socioeconomica delle famiglie influisce sul livello di competenze alfabetiche digitali: maggiore il titolo di studio della madre o del padre, minore l’incidenza della povertà educativa legata alle competenze digitali necessarie per effettuare operazioni di base con gli strumenti tecnologici.
Una 'povertà' che non guarda al ceto
Un dato che si spiega anche pensando che le famiglie più svantaggiate dal punto di vista socioeconomico sono anche quelle dove minore è la presenza di strumenti quali tablet e personal computer. Tuttavia la povertà educativa digitale - viene ribadito - colpisce più in generale tutti i bambini e ragazzi e non ci sono differenze socio-economiche che tengano riguardo la loro capacità di conoscere e applicare le 'regole' relative alla vita nel mondo virtuale e la capacità di districarsi tra opportunità e pericoli della rete.
Social senza regole
Dalla ricerca emerge inoltre che una quota consistente degli studenti che hanno partecipato allo studio non conosce le regole relative all’utilizzo della propria immagine da parte dei social, o all’età minima per avere un profilo, non è in grado di eseguire semplici passaggi per rendere il proprio profilo social accessibile soltanto agli amici, di far fronte all’uso improprio della propria immagine da parte di altri.
Più della metà non conosce le implicazioni legali relative alla condivisione di contenuti offensivi sui social o non è in grado di reagire in modo corretto di fronte all’uso improprio delle immagini altrui. Infine, quasi la metà degli studenti non è in grado di riconoscere una fake news riguardante l’attualità.