AGI - Per quella giovane vita strappata alla morte nel crollo della scuola dovranno risarcire, in solido, la somma complessiva di 190 mila euro. E’ il verdetto civilistico del processo sul crollo del Convitto nazionale, nel quale il 6 aprile del 2009 morirono tre minorenni, due stranieri e un ragazzo di Trasacco (L’Aquila), Luigi Cellini, per il quale l’allora responsabile, Livio Bearzi, è stato condannato a 4 anni per omicidio colposo con sentenza passata in giudicato.
Il dirigente, finito in carcere per non aver evacuato l’immobile durante lo sciame sismico, culminato con la devastante scossa delle 3.32, è stato poi riabilitato dalla Grazia firmata dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Oggi Bearzi ricopre l’incarico di preside dell’istituto Paolino d’Aquileia di Cividale del Friuli (Udine). Il giudice del Tribunale civile dell’Aquila, Monica Croci, accogliendo le istanze degli avvocati di parte offesa, Antonio Milo e Stefano Rossi, ha condannato l’ex preside Bearzi (rappresentato dall’avvocato Paolo Guidobaldi) in solido con il Ministero dell’Istruzione e Convitto Nazionale a risarcire la mamma del minore, Lucia Catarinacci, della somma di 110 mila euro e la sorella del giovane studente scomparso, Lucia Cellini, della somma di 88 mila euro.
La perdita di un figlio 'sfigura' un genitore
Per la Croci «il decesso di un figlio, oltre a produrre un devastante sgomento che il decorso del tempo di rado riesce a ridimensionare apprezzabilmente, è sempre strutturalmente prematuro - invertendo in sé l’ordine naturale delle cose - e si traduce altresì, per l’individuo-genitore, nella distruzione di ciò che costituisce una delle più significative e qualificanti realizzazioni della sua esistenza, sfigurandone il profilo».
Proprio sulla precarietà dell’edificio sempre il giudice Croci ha rimarcato come «tale omissione dell’ente tenuto ad occuparsi della sicurezza dello stabile ha certamente contribuito a fuorviare il giudizio nel Bearzi in ordine alla necessità dell’evacuazione; se non può dubitarsi che l’omesso ordine di sgombero dopo le scosse delle 22.40 e delle 00.39 del 6 aprile 2009 – stante la precarietà dell’edificio nota anche a quest’ultimo, il ripetersi delle scosse che certo creava quantomeno un rischio di aggravamento e considerato che l’abbandono dell’immobile costituisce una delle più elementari cautele in caso di sisma, – rappresenta una scelta palesemente incauta e quindi colposa, al contempo, essa fu verosimilmente frutto anche dell’inerzia informativa dell’ente preposto alla sicurezza; si vuol dire che l’imprudente scelta del Bearzi fu con ogni probabilità alimentata anche dal fatto, che, pur a seguito dell’ispezione del 30 marzo, nessuna specifica segnalazione di maggiori pericoli rispetto al già noto “status” del palazzo era a costui pervenuta».
Sul crollo dell’edificio nel centro storico dell’Aquila (uno dei simboli dell’immane tragedia del terremoto aquilano insieme alla Casa dello Studente, in cui morirono otto studenti universitari) era stato condannato in sede penale anche il dirigente della Provincia dell’Aquila, Vincenzo Mazzotta (con sentenza passata in giudicato a 2 anni e mezzo di reclusione), con l’accusa di non aver dato seguito alle opere di ristrutturazione dell’immobile nonostante studi anche ad hoc avessero evidenziato delle criticità.