AGI – La quiete della domenica del villaggio si scuote solo a metà del pomeriggio.
Per un funerale.
Si aprono finalmente le persiane, si affaccia qualche viso. Accompagnano nell’ultimo viaggio un anziano, 89 anni. “Ma non è mica covid, sia chiaro. Si era rotto il femore”. Perché il coronavirus da queste arti ha picchiato forte, tre settimane fa pareva dovessero chiudere tutto di nuovo. Invece Montappone, forse il più sonnacchioso tra i sonnacchiosi centri sparsi tra il mare e i Sibillini, ha voltato pagina. Covid a zero e una cascata di quattrini.
Ha voluto veramente, la Sorte, andarlo a stanare. Perché andare a scovare Montappone in mezzo alla campagna vuol dire abbandonare per cento chilometri l’E45, l’arteria dell’Europa che lega Marsala al polo nord, costellata di lavori in corso finanziati da Bruxelles ben prima del Recovery. E poi, superato il Chienti e Colfiorito, curve e controcurve per provinciali belle e rischiose. Eppure Montappone, il borgo nascosto, ha ricevuto il suo bacio da un sensualissimo paio di labbra dorate.
Quasi centosessanta milioni di euro, tutti insieme, grazie al Supernalotto: mettila come ti pare, togli la detrazione fiscale, facci anche la tara ma sono sempre tanti soldi. Gli abitanti del borgo sono mille e seicento. Calcolato al lordo, che è più facile, sono centomila euro a testa. Dieci volte gli eventuali benefici della tassa sulle eredità.
Uggiosa la disputa su chi abbia vinto. Nessuno lo dirà mai, anche se i sospetti circolano; come tutti i veri sospetti (che sono ben diversi dal pettegolezzo), ognuno se li tiene per sé, magari per indagare in proprio. Evitano di parlarne i vecchietti del Centrale, il locale Barlume, sotto i loro cappelli di paglia con la fascia blu, un fotogramma di anni ’60 tra un cameriere cinese ed un avventore marocchino, e se lo fanno loro vuol dire che la consegna è quella del massimo riserbo.
Dove andranno a finire depositati, quei soldi? Di banche ce ne sono davvero tante, se commisurate al numero complessivo degli abitanti e soprattutto alla mancanza di cinema, librerie e persino ristoranti. Il paese reca il vanto di essere luogo di creazione e esportazione dei cappelli, soprattutto quelli estivi di paglia. Una bonanza del lusso discreto di nobildonne dal collo flessuoso e dall’accento nordeuropeo.
A ricordare i tempi migliori dei distretti industrial-artigiani delle Marche ora ci sono, all’imbocco del paese, un cappellificio, poi un altro, poi un altro ancora ed uno che lo segue. Ma a guardar bene gli impianti nuovi di pacca son ben pochi, e prevalgono le architetture psichedeliche dell’industria d’avanguardia degli anni ’70. Insomma, la crisi ha colpito in questa minuscola Vigevano senza troppi maestri, dove la destrezza nell’intrecciar la paglia ha trasformato in oro gli steli delle spighe trebbiate sulle colline d’intorno. Ma poi è arrivato il terremoto, tempo fa, e poi il coronavirus. Strade chiuse lustri addietro, export bloccato adesso. Meglio allora che quei soldi restino qui, nella discrezione. Non vadano in giro.
Il primo a sviare il discorso e l’attenzione è Gianmarco Mennecozzi, il gestore della tabaccheria alimentari di Via Roma, dove per due euro se ne sono portato via milioni. “Qui passa molta gente, per via del distretto del cappello; tanti i camionisti, potrebbe essere stato uno di loro”. Non farebbe una piega, se non fosse che davanti alla sua ricevitoria il posto per parcheggiare un camion non c’è. Più roba da vecchietti da sigaro o donnette con la sporta della spesa. Quel che è certo è che non era un sistemista.
Sia un camionista, sia una donnetta, quel denaro si spera che resti in loco. Già Massa Fermana, che sorge dirimpetto su un insediamento gemello e che è parte integrante del distretto del cappello, sarebbe troppo lontano. Le statistiche dell’Istat parlano chiaro: quando sono uscite a marzo hanno rivelato il crollo della produzione, la chiusura di decine di laboratorio ed un fatturato in calo. Il cartello di ingresso al Paese ricorda i gemellaggi in Europa, ma a fianco un altro mette in vendita appartamenti e laboratori. Avanti chi se la sente di rischiare.
La chiesa sul borgo, che sorge su un antico castello, è puntellata lungo l’abside e non sai se è stato il terremoto o un cedimento strutturale del terreno. Dentro c’è un Pomarancio, ma non lo si può ammirare. Montappone è come tutto il resto delle Marche: la bellezza la tiene nascosta. C’è, per carità: le colline sono come quelle di Piacenza, per non dire le fiorentine, e il turismo cui si vorrebbe aprire avrebbe anche terreno fertile dove attecchire. Ma il presente non è quello di un paese ottimista, e ci si affida alla sorte.
Se anche la fortuna fa paura
Anche per questo il suddetto Mennecozzi, che intanto spera anche nella gratitudine dell’anonimo vincitore, è il primo a sorridere. Fa spuntare la testa riccioluta sale e pepe tra colonne di gratta e vinci (“Sono una passione”, spiega) e racconta che in meno di ventiquattr’ore ha raddoppiato le vendite. Lo striscione di plastica prontamente affisso sulla tenda da sole, all’esterno, fa già il suo effetto. Ricorda a chi passa per la provinciale la vendita milionaria, a memento e esortazione. Entra il vecchietto e compra, entra il giovanotto e compra. “Ma la fortuna è difficile che arrivi due volte nello stesso punto”. “Guardi qua”, replica lui sicuro, e indica una serie sterminata di matrici, “sono tutte le vincite dall’inizio dell’anno”.
È come la legge di Murphy: tanti anni di duro lavoro e di fatica programmata e ragionata non varranno mai come una bella botta di fortuna. Quindi anche se le spighe iniziano a imbiondire sotto un sole che raggiunge per la prima volta quest’anno i 30 gradi, non confidiamo troppo nella paglia.
Perché sì, i dati della pandemia sono buoni. Il mare non è lontano, la ripresa magari arriva davvero e si riprenderanno anche le esportazioni di cappelli. Quello che è successo, però, resta difficile da cancellare, e Montappone oggi è l’emblema di un’Italia talmente spaurita da aver timore anche della fortuna, o meglio del futuro che invece in altri momenti era molto meno incerto anche senza una pioggia provvidenziale di milioni.
Ragion per cui, anche se forse viene il bello, teniamoci la maglia. E intanto teniamo nascosto il nostro tesoro, come fosse un quadro del Pomarancio. L’importante è che sia lì, serbato nelle nostre piazze color ocra o nascosto sotto un cappello di paglia a larghe tese, da nobildonna inglese. Se qualcuno ne vuol godere si faccia pure avanti. Glielo mostreremo, prima o poi, ma sempre tenendolo in mano nostra.