AGI - Il richiamo è doppio. La foto in prima pagina sull’Osservatore Romano ha una luce ed espressioni caravaggeschi. Ma la scena è reale: due fratellini morti sotto le bombe di questa nuova guerra tra Israele e Hamas, nata in modo incomprensibile ed incomprensibilmente duratura.
L’immagine è potente, il messaggio di disgusto esplicito. Anche Wojtyla, pensando una volta ad una guerra in Medioriente, parlò di disgusto di Dio per l’Uomo.
Inoltre, e questo è il secondo richiamo, vengono in mente altri due paesi mediorientali: la Siria e l’Iraq.
In Iraq Papa Francesco è stato poche settimane fa, a marzo, a predicar la pace e a bandir la guerra dalle rovine di Mosul. Il conflitto in Siria, agli inizi del pontificato, gli fece coniare l’espressione tremenda di “Terza guerra mondiale a pezzi”. Anche questo ricordo deve aver fatto sì che Papa Francesco intensificasse, in queste ore, le iniziative diplomatiche.
La cronaca parla di due appuntamenti, uno telefonico e l’altro in presenza, molto vicini l’uno all’altro. Alle nove del mattino il Pontefice riceve la telefonata del presidente turco Erdogan, oggi per lo più considerato una sorta di paria nelle cancellerie occidentali ma ai tempi del conflitto siriano una pedina fondamentale per gli equilibri della regione mediorientale.
Alle 9,30, vale a dire immediatamente dopo, entra nel so studio del Palazzo Apostolico il ministro degli esteri iraniano, Javad Zarif. L’Iran è anch’esso considerato ai margini della comunità internazionale da parte di numerose cancellerie, ma il vento pare stia cambiando: da Washington arrivano segnali distensivi, si parla anche di ridare vita all’accordo sullo sviluppo dell’energia nucleare di Teheran che fu concluso da Obama e cancellato da Trump.
Domenica, poi, proprio Bergoglio ha chiesto due cose ben distinte, vale a dire un nuovo impegno della comunità internazionale per far tacere le armi tra Israele e Hamas e la fine delle uccisioni dei civili. La morte dei bambini, poi, è qualcosa di incomprensibile e inaccettabile. Parole riprese esattamente e precisamente dall’Osservatore Romano a commento della copertina shock che apre l’edizione che esce successivamente. Ultimo tassello: di bambini morti ve ne sono stati diversi a Gaza. Anche la Gran Bretagna, adesso, chiede a Israele di limitarsi ad attacchi proporzionati nella forza e nei bersagli.
Si tratta, questa crisi mediorientale, del primo scossone dopo la pausa forzata imposta dal coronavirus. Proprio il covid Bergoglio aveva sfidato, tra le altre cose, nel suo viaggio in Iraq. Quel viaggio ebbe un momento saliente nell’incontro, a Qom, con l’ayatollah Al Sistani, leader religioso sciita.
Il Pontefice ne emerse molto rinfrancato: non solo per le garanzie data dall’anziano ayatollah alla locale comunità cristiana, ma per l’intesa interreligiosa in favore della pace che ne scaturiva. L’Iran è una repubblica islamica quasi totalmente sciita, e la cosa non è di importanza secondaria.
Ugualmente non è secondario, nel valutare il colloquio telefonico tra Francesco e Erdogan, l’essere la Turchia paese in gran parte sunnita e l’essere essa portata, in caso di gravi crisi internazionali come l’attuale, ad intensificare un ruolo di iniziativa diplomatica insieme all’Arabia Saudita. Insomma, dopo il fallimento della mediazione egiziana tra Hamas ed Israele, forse vale la pena di giocare la carta dei paesi della Pace di Abramo. Anche gli Usa potrebbero gradire.
Del resto i due appuntamenti con il presidente turco ed il ministro iraniano seguono di un paio di giorni il faccia a faccia sempre di Bergoglio con l’incaricato americano per le questioni climatiche, John Kerry. La coincidenza temprale colpisce, ma è impossibile farsi dire se i due interlocutori, oltre che al clima, abbiano dedicato la loro conversazione anche al Medioriente e ai suoi sviluppi.
L’archivio però – e gli archivi in diplomazia hanno il loro interesse – parla di alcuni precedenti. John Kerry, che è cattolico oltre ad essere fidato collaboratore di Joe Biden, è stato segretario di stato di Obama ai tempi dell’accordo con l’Iran sul nucleare. E anche ai tempi della distensione con Cuba.
Nell’agosto 2015, inaugurando la riaperta ambasciata Usa all’Avana ringraziò il Pontefice per l'avvio del disgelo tra le due nazioni. "Non è un caso che il pontefice verrà qui e poi negli Stati Uniti" precisò ricordando che di lì a un mese sarebbe volato all’Avana anche Francesco in persona.
Insomma, i due si conoscono da tempo e collaborano in maniera fruttuosa, avendo anche una certa intesa su dossier internazionali scottanti. Nessuna conclusione affrettata è pertant ma un pensieroo autorizzata, sì.