AGI – Il presidente della squadra di calcio di serie A Hellas Verona, Maurizio Setti, è indagato per appropriazione indebita e autoriciclaggio nell’ambito di una indagine coordinata dalla Procura di Bologna e condotta dalla gdf del capoluogo emiliano.
Nei confronti dell’imprenditore modenese è stato eseguito un sequestro preventivo di 6,5 milioni di euro.
Una somma, secondo inquirenti ed investigatori, che sarebbe stata indebitamente sottratta dalla casse della società calcistica.
Il provvedimento cautelare, disposto dal gip di Bologna, scaturisce dalle risultanze degli accertamenti condotti dalle fiamme gialle sulle vicende di due società bolognesi rientranti, nel recente passato, nella catena di controllo della società calcistica, nei confronti delle quali erano state emesse sentenze di fallimento successivamente revocate, all’inizio di quest’anno, in sede di reclamo.
L’operazione della guardia di finanza è stata chiamata “Scala Greca”.
All’esito di approfonditi riscontri, che hanno consentito di ricostruire, minuziosamente, flussi finanziari e operazioni societarie stratificatesi nel tempo è emerso che, questa la ricostruzione dei finanzieri, la partecipazione detenuta dalle due società nella Hellas Verona era stata oggetto, negli anni, di vorticose operazioni di cessione infragruppo e rivalutazioni (anche grazie al coinvolgimento di società estere) che ne avevano "strumentalmente e ingiustificatamente incrementato il valore". Gli investigatori contestano una "sofisticata operazione di autoriciclaggio" per 6,5 milioni di euro. Un importo, secondo l’accusa, illecitamente sottratto dall’indagato alle casse della società calcistica sfruttando il suo doppio ruolo di amministratore e socio unico.
Tali ingenti somme, questo il quadro accusatorio, sono state quindi impiegate, indebitamente, per portare a compimento un articolato piano di ristrutturazione di una delle due società bolognesi volto a scongiurarne il fallimento, dal quale sarebbe potuto derivare lo spossessamento della società di calcio. Attraverso una vera e propria operazione di “maquillage contabile”, l’imprenditore - è la versione dell’ accusa - ha cercato di celare l’origine delittuosa delle somme di cui si era appropriato indicandone in diversi documenti bancari e contabili la provenienza da una distribuzione di “dividendi”, sebbene si trattasse, in realtà, di una disponibilità finanziaria accantonata in bilancio quale “riserva di versamenti soci in conto futuro aumento di capitale”, di per sé non distribuibile.