AGI - “Ero da solo, avevo un complice, ne avevo quattro, sono il Messia”. Dal 13 maggio 1981 il terrorista turco dei “Lupi grigi” Mehmet Ali Ağca ha cambiato decine di volte versioni dei fatti, confermando e smentendo dettagli e retroscena di un fatto su cui una sola verità rimane accertata: la mano che sparò a San Giovanni Paolo II fu la sua. Due proiettili, forse tre, e una mano provvidenziale - secondo la ricostruzione della mancata vittima quella materna della Vergine di Fatima - a evitare il più drammatico esito. In un libro edito nel 2011 da Ponte alle Grazie, il giudice istruttore Ilario Martella, che seguì le indagini dell’intricatissimo caso, racconta i “Tre spari contro il Papa”.
“Il comportamento deviante - spiega il magistrato all'AGI - Agca lo ha manifestato in vario modo. Lui era un genio del male. La domanda da farsi è come mai abbia agito in modo da indurre a prendere certi provvedimenti prima, e altri di segno opposto poi”.
Perché, appunto? “I fatti: è stato accertato balisticamente che i colpi esplosi dalla pistola di Agca sono stati due, è quindi verosimile che un terzo colpo sia stato sparato da un complice, che fu immortalato da un fotografo americano mentre si allontanava dalla piazza. Per un anno Agca non manifestò alcun intento collaborativo, pose in essere comportamenti depistanti, farneticanti. La sentenza di Corte di Assise venne emessa rapidamente: il 22 luglio 1981. Ma tutto lasciava presumere che egli fosse espressione di una trama”.
Poi? “Il 29 aprile 1982 la direzione della casa circondariale di Ascoli Piceno mi informa che Agca ha chiesto di rilasciarmi delle dichiarazioni. Inizia una lunga serie di interrogatori nel corso dei quali Agca produce molti riferimenti chiamando in causa diversi complici in un complotto: tre bulgari e quattro turchi. Egli sostiene di aver dato esecuzione su richiesta e per conto dei servizi segreti Bulgari. Un’affermazione di gravità tanto esplosiva non poteva essere recepita se non con la massima cautela: una tale chiamata in correità poteva avere conseguenze non solo giudiziarie ma anche politiche. D’altronde chi faceva queste dichiarazioni era un soggetto dalla spiccata struttura delinquenziale. Era però indubbio che esistesse un notevole legame con istituzioni criminali operanti in Turchia. Non si poteva recepire sic et simpliciter ciò che diceva un soggetto come Agca, bisognava acquisire elementi".
Inizia così un lavoro di indagine che va oltre, molto oltre, il colonnato del Bernini. “I riferimenti che Agca ha fatto sull’organizzazione dei Lupi Grigi in vari paesi europei hanno trovato riscontro - afferma Martella -. Lo stesso vale per i precisi elementi di identificazione in riferimento ai tre cittadini bulgari che indica come suoi complici e che individua in un album di 56 fotografie. Se uno solo degli indizi dati rispetto a questi complici fosse caduto, sarebbe caduto tutto. Ma da quando ha dichiarato di voler collaborare, le sue testimonianze sono state suffragate da fatti. Un esempio: ha dichiarato che qualora lui e il suo complice, che lui identificò in Oral Celik, fossero sfuggiti all’arresto, si sarebbero rifugiati all’ambasciata bulgara dalla quale sarebbero poi partiti con un tir, un mezzo diplomatico”.
Un mezzo diplomatico? “Un tir appartenente all’ambasciata: non avrebbero subito controlli. Ed effettivamente il 9 maggio era arrivato dalla Bulgaria un tir, che ha lasciato Roma poche ore dopo l’attentato. Sulla base di questi e tanti altri elementi indizianti disposi il rinvio a giudizio alla Corte di Assise di Roma, che il 29 giugno 1986 assolveva poi tutti gli imputati con formula dubitativa. Cioè per insufficienza di prove. Ha dato un contributo determinante lo stesso Agca, perché ha ritrattato le chiamate in correità con il solito comportamento farneticante".
Perché ritratta ancora? "Facciamo un passo indietro. Nel corso dell’attività istruttoria fu arrestato il bulgaro Antonov, nel novembre 82. Questo fatto si lega a quanto si acquisirà poi, dopo la caduta del Muro di Berlino, quando emerge che già nel 1982 erano in corso contatti tra la Bulgaria e la Stasi, l’ente di sicurezza e spionaggio della Germania dell’Est. È importante un documento acquisito agli atti il nel febbraio 1983, scritto dal ministro degli esteri bulgaro all’indirizzo del direttore della Stasi Erich Mielke. Parla di attuare “una misura di estremo rilievo che distolga l’attenzione del nemico dal caso Antonov”.
Chi è il nemico? "Io. Meglio: chi stava svolgendo le indagini. Contestualmente avveniva che il 7 maggio 1983 e il 22 giugno 1983 scomparivano due ragazze romane, Mirella Gregori ed Emanuela Orlandi. Ciò avveniva dopo che le istanze di libertà erano state rigettate. Le congetture sono pericolose, ma i documenti vanno considerati. Non provengono dai servizi segreti italiani, ma dai servizi dell’est. Da Berlino. L’attività di depistaggio inizia con l’ingresso di due personaggi che forniscono dati dettagliati su Emanuela, reali. Poi si susseguono altri personaggi che per telefono o via lettera tentano di inserirsi in apparente autonomia con il fine di porre in essere una articolata operazione di distrazione, e che agendo con estrema abilità riescono a sottrarsi sempre alle ricerche degli inquirenti. Il motivo era chiaro: far credere che la liberazione delle ragazze dipendesse da quella di Agca. Lasciamo perdere il coinvolgimento della banda della Magliana, argomento che rifiuto. Su Emanuela e Mirella sono state fatte illazioni tese a sviare le indagini, facendo soffrire le famiglie. Non si commentano: chi le ha fatte deve vergognarsi".
Tornando al lupo grigio? "L’interesse era quello di far credere ad Agca che ritrattando tutte le sue chiamate in correità, tornando a essere farneticante e bugiardo come era stato all’inizio, questo potesse far cadere l’accusa nei confronti di Antonov, e che pure lui avrebbe avuto la libertà perché prima o poi le ragazze sarebbero state liberate. È accaduto che i bulgari e i turchi sono stati assolti, grazie al comportamento di Agca, per insufficienza di prove. Agca invece è rimasto buggerato perché è rimasto in galera per altri 20 anni. Lui che si illudeva di ottenere, in cambio di un atteggiamento che favorisse Antonov, la liberazione di Orlandi e di conseguenza la sua".
La verità processuale ha raggiunto quella dei fatti? "Tanta parte di quella verità è ormai difficile da ricostruire: quasi tutti i documenti della Stasi sono andati distrutti dopo la caduta del Muro di Berlino. La verità resta forse solo nella mente confusa o diabolica di un lupo grigio. Il presidente della Corte di Assise di Roma Severino Santiapichi lo definì “la persona più intelligente mai conosciuta” per la capacità meccanica di registrare decine di versioni senza mostrare sbavature. Aveva una capacità apprensiva impressionante. Nel giro di pochi mesi parlava l’italiano meglio di me, non avevo più bisogno dell’interprete. Era un genio, il genio del male. Però con lui si aveva a che fare".