AGI – Già lo disse Benedetto XVI: esiste anche il diritto di non migrare. Di vivere, cioè, nella propria terra senza essere cacciato dalla guerra o dalle necessità. Francesco lo ribadisce, saldando l’idea con un “il mondo ancora non ha preso coscienza che la migrazione è un diritto umano” il quale suona a rimprovero più che a memento. Il mondo distratto è quello occidentale e settentrionale: il massimo della ricchezza concentrato in un numero sempre minore di mani.
Finisce il viaggio in Iraq. “Non mi sono mai stancato tanto” concede il Papa, che pure ammette come tutto ciò lo abbia fatto sentire tornato alla vita dopo un anno di vera e propria prigionia, chiuso nelle Sacre Stanze senza nemmeno un bambino per una conversazione che non fosse ufficiale. La folla l’ha ritrovata per le strade e per le piazze di Erbil e Qaraqosh. A Mosul ha trovato invece l’angoscia dei ricordi della guerra, il desiderio di restare, la decisione di andarsene probabilmente per sempre.
È così che emerge, quasi spontaneamente, il terzo grande tema di questa visita, che lascerà il segno nel suo pontificato. Il primo è stata la pace, la convivenza civile, la necessità della riconciliazione. Il secondo il dialogo con l’Islam sciita, per spingere tutte le religioni a tenersi per mano l’una con l’altra.
Il terzo, per l’appunto, le migrazioni. Tenuto quasi sottotraccia, o meglio lasciato sullo sfondo a far da connettivo con gli altri due. Di certo non dimenticato, se proprio 12 migranti iracheni (si noti il numero) Bergoglio ha voluto vedere prima di salire sull’aereo per Baghdad.
Alla fine della permanenza, poi, un altro incontro non previsto ma sicuramente cercato, quello con il padre di Alan Kurdi, morto affogato a tre anni sulla spiaggia di Lesbo mentre tentava di arrivare all’Europa. Gli mancavano pochi metri, finì invece a faccia in giù, infagottato come un bambino dei Peanuts, nella sabbia di un’isola delle vacanze. “Niente asilo”, titolò un giornale in Italia, con crudo ma efficace gioco di parole.
“La migrazione è un diritto doppio: diritto a non migrare, diritto a migrare”, dice adesso Bergoglio, “ma questa gente non ha nessuno dei due, perché non possono non migrare e non possono migrare perché il mondo ancora non ha preso coscienza che la migrazione è un diritto umano”. Doppio il diritto umano, doppia la sua disumana negazione.
Pura miopia. “Mi diceva un sociologo italiano parlando dell’inverno demografico in Italia”, prosegue il Pontefice, “che entro 40 anni si dovranno importare stranieri perché lavorino e paghino le tasse delle pensioni”. Sia detto per inciso: “i francesi sono stati più furbi perché hanno avanzato dieci anni con la legge di sostegno della famiglia, il loro livello di crescita è molto grande”. Ma il discorso è anche un altro, e cioè che “la migrazione la si vive come un’invasione”.
Allora “ci vogliono misure urgenti perché la gente abbia un lavoro al suo posto e non abbia bisogno di migrare, e anche misure per custodire il diritto di migrazione”. Questo vuol dire che “ogni Paese deve studiare bene la capacità di ricevere, perché non è soltanto ricevere e lasciarli sulla spiaggia ma anche accompagnare, farli progredire e integrarli”.
Sì, integrarli: la figlia di un migrante integrato in Svezia ora è ministro, i figli di migranti non integrati in Belgio sono divenuti terroristi. Tra questi due estremi, l’uno positivo l’altro negativo, esiste una vasta gamma di soluzioni che rappresentano un gioco a doppia vincita, per chi ospita e per chi arriva.
Ma non è questa l’unica contraddizione di un mondo ricco e inadeguato. Si pensi solo alla questione femminile. Bergoglio ha appena smesso di chiedere che si riconosca alla donna quanto ha sofferto in Iraq in questi trent’anni di guerre infinite, e quanto potrà fare in prima persona per la ricostruzione del paese. Ma questo vale ovunque.
Le donne scrivono la storia, sottolinea, le donne “sono più coraggiose degli uomini”. Ma “la donna anche oggi è umiliata. Le donne si vendono, le donne si schiavizzano. Anche nel centro di Roma il lavoro contro la tratta è un lavoro di ogni giorno”. Anche qui: non c’è bisogno di andare troppo lontano, per vedere lo stesso tipo di ingiustizia che ci ha mostrato l’Iraq.