AGI - Sono negli ospedali, a fianco dei malati. Sono nei laboratori a diluire le dosi dei vaccini e, prima ancora, ne organizzano la logistica, smistano e controllano farmaci, distribuiscono dispositivi necessari a contrastare il virus.
Quando c'è stato da iniziare l'inoculazione dei vaccini, hanno risposto "presente". E non le ha fermate nemmeno la distanza tra casa e punto di somministrazione, o i 105 anni di età. Sono lavoratrici, spesso precarie o impegnate nei settori più duramente colpiti dalla pandemia, in termini di rischi per la salute, ma anche di chiusure e perdita del lavoro.
Ma sono anche a casa, a preparare i pasti, ad aiutare i figli in Dad con le lezioni o i compiti, o alle prese con le battaglie dell'adolescenza. Sono donne, sono liguri e da oltre un anno sono davvero in prima linea contro il Covid, con un carico di fatica fisica e psicologica che continuano a portare.
Agi ne ha incontrate alcune: brevi testimonianze per capire come la vita, soprattutto quella delle donne, sia stata stravolta dalla pandemia: "E' stato un anno impegnativo, sotto tutti i punti di vista: sia sotto l'aspetto professionale, come ore in servizio, ma anche emotivo, sia al lavoro che a casa", conferma Gloria Capriata, coordinatrice infermieristica all'ospedale policlinico San Martino di Genova, balzata agli onori della cronaca non solo per il suo impegno in prima linea nei reparti covid di terapia intensiva, ma anche per essere stata la prima a vaccinarsi in Liguria lo scorso 27 dicembre.
Non esistono più sabati o domeniche
"Non esistono più sabati o domeniche perché è cambiato il modo di lavorare, le procedure, i tempi. E' cambiato l'approccio col paziente. Paradossalmente - racconta - quando tutto è cominciato ed eravamo in emergenza, sembrava più semplice: trovavamo risorse che non pensavamo di avere, convinti che superata la fase acuta, sarebbe finito tutto.
Ora che la fase che stiamo vivendo sembra 'cronica' è molto più dura perché pare non esserci un orizzonte". La stanchezza si fa sentire, dopo un anno in cui Gloria si è divisa tra il ruolo di operatrice sanitaria e quello di madre.
"Come donne, come mamme e nella vita in generale ci facciamo carico di gran parte delle attività della gestione familiare. Qui in sanità, poi, siamo prevalentemente donne: è facile trovare operatrici sanitarie con figli che quest'anno si sono adoperate molto di più sia sul lavoro che a casa, con un carico notevole.
La mia grossa fortuna è stata avere figli grandi: la femmina ha 17 anni, il maschio 23. Hanno capito la situazione, mi hanno aiutato e sono fieri di avere una mamma in prima linea. Ma è stato un anno duro. E continua ad esserlo".
Un anno che, di fatto, ha chiesto a tutti uno sforzo maggiore, ma che alle donne, sembra aver davvero rivoluzionato la quotidianità. Lo conferma all'Agi Barbara Rebesco che, oltre ad essere la referente regionale per la logistica dei vaccini, è direttore della Struttura complessa delle politiche del farmaco: quindi gestisce vaccini, medicinali, dispositivi medici.
Una donna al comando, con la sua squadra da gestire, ma anche con una vita privata da stravolgere: "Mio marito - racconta - è chirurgo. Storicamente arrivava sempre più tardi di me, ma pandemia ha stravolto questa piccola normalità: ora arrivo io sempre più tardi di lui. Trovo lui e i miei gatti a casa che mi aspettano; le mie vicine di casa che mi dicono 'sentiamo il tuo passo sempre più stanco'.
Non conto certo le ore quando sono al lavoro, ma la mia giornata lavorativa normale è diventata di 10-11 ore. Arrivo tra le 8.30 e le 9 e non esco mai prima delle 19.30, a volte arrivo a casa alle 21. Ho cambiato il modello nutrizionale della famiglia. Mi organizzo per avere dei piatti facili da preparare. Per esempio - racconta con un pizzico di fierezza - ho inventato gli involtini con la carne da mangiare cruda. Si preparano in tempi rapidissimi. Bisogna sapersi organizzare".
Mai perdere la sensibilità e l'attenzione verso gli altri
Per la timoniera del piano vaccini della Liguria, "nei momenti più difficili e bui, non bisogna mai perdere la sensibilità e l'attenzione verso gli altri. La sensibilità sul lavoro, qualità tipicamente femminile, deve essere uno strumento per diventare più efficienti: dimostra che le cose non le facciamo solo per adempiere ad un dettato giuridico, ma perché pensiamo che ci siano dietro delle persone che stiamo aiutando, talvolta immaginiamo i loro volti.
Questo per me è un fattore motivante". Una sensibilità che si aggiunge a professionalità maturata in anni e anni di lavoro: "In questo frangente, ho tirato fuori quello che ho appreso nella mia storia professionale - racconta - Sono stata farmacista ospedaliera, direttore di una farmacia oncologica. Sono stata auditor dei sistemi di qualità e tutto questo mi ha dato un metodo che presuppone verifica, non autoreferenzialità, tracciabilità per garantire sicurezza.
Con i vaccini anti covid abbiamo la responsabilità di verificare quello che arriva, di distribuirlo secondo criteri che originano dal piano vaccinale. Abbiamo elaborato tutto un sistema di monitoraggio che ci consente di verificare l'andamento delle consegne, le variazioni, il rapporto tra consegnato e somministrato".
Un lavoro meticoloso che trova naturale sbocco, a Genova, nelle mani di un'altra donna: Angela Battistini, da 30 anni in servizio al San Martino. Angela all'Agi si presenta così: "I miei figli, un maschio e una femmina di 24 e 23 anni, mi hanno sempre chiamata "Battistini" perché ogni volta che rispondo al telefono è lavoro e quindi mi qualifico così - dice sorridendo - Non mi fa onore come madre, ma in realtà sono presente e amorevole.
Da quando è scoppiata la pandemia, non esco mai prima di aver concluso 11 ore di lavoro, a volte 12 o 13. Questo ha fatto sì che rivedessi l'organizzazione alimentare, ad esempio: sabato o domenica, quando ho un po' di tempo, preparo i pasti per tutta la settimana. Anche perché, se metto amorevole gentilezza nel preparare il vaccino, faccio lo stesso nel preparare da mangiare alla mia famiglia".
Le mani di Angela sono infatti quelle che preparano le dosi di vaccino, sia esso Pfizer o Moderna: "Perché io? Perché nessun altro lo voleva fare - esclama ridendo - Facevo parte di un gruppo selezionato di persone che avevano seguito il corso con l'Istituto superiore di sanità, quindi ero avvantaggiata perché avevo avuto la possibilità di capire come toccare questo prezioso vaccino, che considero la panacea di questo male. Ebbene - racconta con un filo di emozione - questa amorevole gentilezza con cui ogni volta maneggio la minuscola bottiglina, penso che si trasformi in amorevole gentilezza rispetto a quello che viene inoculato nella persona. Ci metto tutto il cuore e di più".
Cuore, coraggio e anche un quotidiano lavoro su sé stessa l'hanno portata ad essere una degli elementi più importanti della sanità genovese in questo frangente: "Credo che l'adolescenza dei miei figli mi abbia temprata e mi abbia insegnato a non arrendermi mai, nemmeno in questo momento di pandemia".
Per Angela le donne, "in considerazione del fatto che devono sempre far conciliare l'essere madri e presenti sul lavoro, hanno una disponibilità di cuore forse diversa dall'uomo. Non credo sia una vera questione di genere, ma forse di cultura, di come siamo state cresciute, imparando a tirarci su le maniche. Ho una fortissima resilienza e anche quando sono stanca dico sempre di sì perché, se mi viene chiesto, vuol dire che c'è bisogno. Di sicuro non ci ferma nessuno".
Nessuno e niente: è il caso di dirlo parlando di Anna Domenica Febbo, altra protagonista di questa guerra al coronavirus. La signora ha 105 anni e risiede nell'Imperiese: è al momento la donna più anziana ad essersi vaccinata nella fase dedicata agli over 80 in Liguria. Fazzoletto in testa, sguardo chiaro e sorridente dietro la mascherina, si è presentata all'ambulatorio allestito nella stazione di Arma di Taggia e ha ricevuto la sua dose. Una volta vaccinata, è tornata in campagna ed alla vita di tutti i giorni. Non rilascia dichiarazioni, non vuole stare sotto i riflettori, ha fatto "quello che doveva".
Caparbia, felice, coraggiosa, desiderosa di vivere. E se di caparbietà e tenacia si parla, non si può non parlare di Serena Bertolucci, instancabile direttrice di Palazzo Ducale di Genova, principale polo culturale della Liguria e abile guerriera, fuori dai reparti d'ospedale, in questa battaglia al virus. A lei il compito di tenere alto il nome dell'arte e dalla cultura, nel momento più buio per questi settori.
Importante coltivare un punto di partenza 'femminile'
"In questa emergenza la cultura è stata a lungo esclusa da ogni tipo di riflessione - racconta all'Agi - invisibile agli occhi di molti, chiusa e inaccessibile. Un fatto gravissimo che ha portato fratture non solo all'interno del sistema lavorativo, ma nel piccolo e complesso sistema che regola l'umanità di ognuno. Ecco perché adesso, al di fuori di ogni retorica e pregiudizio, è importante coltivare un punto di ripartenza che mi piace definire “femminile” per l'alto valore di resilienza e condivisione che sono necessari per portare a cucire ed edificare una rete che deve abbracciare diversi settori.
Solo così - conclude - potremmo rispondere alle esigenze educative, sociali, ricostitutive del nostro Paese. Quindi grande forza, grande attenzione, al piccolo e al grande, una sana dose di ostinazione e tanta competenza".
Serena Bertolucci è storica dell'arte, alla guida del 'palazzo' tra i più famosi di Genova, biglietto da visita della città in Italia e all'estero. Ma Serena è anche grande pendolare e mamma di Giulio, 11 anni: "Se posso, lo porto sempre con me ai convegni e alle presentazioni. Si può essere madri e lavoratrici".
Si può, certo, ma non senza fatica. A dirlo, la Cgil Liguria, guidata da un'altra donna, Fulvia Veirana: "La pandemia ha pesato particolarmente sulle spalle delle donne - sottolinea all'Agi - molti settori che si sono fermati, vale a dire turismo, commercio, cultura, spettacolo, vedono una larghissima quota di occupazione femminile, con contratti part time, precari.
Non solo: l'occupazione femminile è stata anche particolarmente pressata, in termini di sforzo lavorativo e psicologico, dalla pandemia, specie nei lavori sociosanitari che vedono le donne protagoniste. Donne che - aggiunge la segretaria della Cgil Liguria - hanno dovuto inoltre fare a meno dei servizi educativi, sospesi per gran parte dell'anno".
Per la sindacalista questo è un nodo cruciale vecchio di anni e mai risolto, che si è acuito con il Covid: "Il welfare nel paese è parziale, in Liguria ancora di più: 28 bambini su 100 possono frequentare un asilo nido, metà può farlo in strutture pubbliche o a regia pubblica. Ecco: finché non ci sarà un lavoro culturale sulla società, che non predetermini il ruolo della donna, il rischio è che continui un percorso di caduta. Non solo: occorre creare posti di lavoro per tutti. In questa fase il Recovery fund può essere un'occasione unica che va sfruttata. Nella nostra regione - conclude Veirana - siamo molto in ritardo".
Per la sindacalista, "essere donna oggi a capo del primo sindacato ligure vuol dire avere una grande responsabilità e sapere che questo fatto può rappresentare una fase in cui costruire occasioni. In questa emergenza oggi tutti dobbiamo metterci tutto quello che possiamo per poter dare un contributo". Contributo necessario per migliorare una società in cui l'emergenza Covid non ha fatto altro che decuplicare il peso di responsabilità sulle donne, estremizzando le differenze di opportunità e accessibilità al tempo per sé, al benessere, alla vita.