AGI - Lo scrittore Valerio Massimo Manfredi, avvelenato dal monossido di carbonio, è stato trasferito da Roma al centro iperbarico di Grosseto perché “con tutta probabilità nelle camere di ossigenoterapia del policlinico Umberto I Roma non c’era posto”.
Lo afferma all’AGI il presidente della Società italiana di medicina subacquea e iperbarica (Simsi), Gerardo Bosco, secondo cui è necessario “lavorare per evitare i lunghi trasferimenti dal luogo dell’incidente”. E per farlo bisogna “incrementare l’offerta di centri iperbarici in strutture ospedaliere pubbliche, in grado quindi di trattare le emergenze”.
Dal censimento appena effettuato dalla Simsi, emerge che in Italia ci sono all’incirca 65 centri iperbarici, compresi quelli stagionali sulle piccole isole (Ustica, Favignana, Lampedusa, Elba). A Roma, ce ne sono due: L’Umberto I e il Centro iperbarico romano, ma solo il primo fa parte del Ssn e in totale "ha due stanze entrambe da 10 posti. Una accoglie le emergenze e l'altra i casi ambulatoriali".
Quanto al numero complessivo dei centri italiani, il dato “comprende sia i centri pubblici che quelli privati, con un rapporto di 40 a 60”. Va da sé che le emergenze vengono trattate nelle camere iperbariche ospedaliere. “Di solito – commenta Bosco - quando non viene trattato nel centro più vicino è perché è chiusa momentaneamente per ristrutturazione o perché è occupata”. Parliamo di “stanze multiposto, da 10, 12 letti. All’estero ci sono anche camere monoposto, ma in Italia no, è così dal ‘97”.
Ma cos’è e a cosa serve una camera iperbarica? Si tratta di “una stanza ricoperta da un involucro in acciaio dove si effettua un trattamento mediante la pressurizzazione dell’aria. Il paziente indossa la maschera o un tubicino attraverso il quale si eroga ossigeno puro al 100% tra 2.2 e 2.8 atmosfere. Questa terapia permette di ottenere processi chimici e biologici diversi da quelli che si otterrebbero respirando aria ‘normale’, spiega Bosco.
Nell’intossicazione da monossido di carbonio – come quella che ha coinvolto Manfredi - il trattamento “permette di ‘lavare’ il corpo dal veleno e di abbattere le probabilità di un processo infiammatorio sistemico che potrebbe avviarsi anche a distanza di tempo a livello cardiaco e neurologico”, continua di presidente della Simsi.
"Dato che l’inalazione di monossido di carbonio impedisce il normale afflusso di ossigeno agli organi e ai tessuti, l’OTI è indispensabile per ripristinare i normali livelli di ossigeno nel sangue. L’ossigeno, nel caso di intossicazione da monossido di carbonio, può davvero salvare la vita", spiega ancora Bosco, che conclude: "Solo l’adozione di linee guida semplici e chiare può consentire di interfacciare efficacemente l’attività del Pronto Soccorso con quella di un Centro Iperbarico che dovrà essere attivo, ovviamente, 24 h per 365 giorni l’anno, eventualmente anche per consulenze. Bisogna incrementare le strutture ospedalizzate pubbliche o private in grado di trattare al meglio le emergenze iperbariche".
Tra le altre patologie gravi trattate in camera iperbarica ci sono l’embolia e la decompressione subacquea. L’ossigenoterapia è, inoltre, un adiuvante per i problemi di insufficienza aterovenosa, nei difetti di cicatrizzazione, nell’acufene, in alcune patologie legate all’osso e nelle infezioni dei tessuti molli provocate da flora batterica mista.