AGI - A casa, impauriti e abbandonati dal medico di base. E’ una sensazione diffusa tra i malati di Covid in quarantena a domicilio, con pochi sintomi o con manifestazioni non abbastanza serie da richiedere l’ospedalizzazione. Ma seppur con mille problemi, la medicina di base, del territorio, c’è, anche se non in carne e ossa.
Lo assicura Filippo Anelli, presidente della federazione degli Ordini dei medici (Fnomceo). “Non si può dire che i cittadini siano stati abbandonati, ma capisco che l’abitudine e il desiderio è quello di vedere il proprio medico vicino a sé”, dichiara Anelli.
“Tuttavia l’attività di sorveglianza c’è ed è comprovata dai dati. La gran parte dei nuovi positivi che vengono registrati ogni giorno dal bollettino hanno fatto un tampone molecolare, richiesto dal dottore di base che provvede ad attivare la sorveglianza", sostiene Anelli. "Nella prima fase il numero di tamponi era molto basso e il cittadino era realmente abbandonato, ma oggi è diverso”.
Il virus ha cambiato il modo di esercitare l’assistenza ma non l’attenzione: “Videochiamate, messaggi whatsapp con scambi di dati sulla saturazione, sono nuovi strumenti che ci permettono di essere vicino al paziente”, continua il numero uno di Fnomceo.
Della stessa opinione è anche Silvestro Scotti, segretario della Fimmg, la federazione dei medici di medicina generale. “I dati mostrano chiaramente che la stragrande maggioranza dei malati Covid viene curata a casa. La domiciliarità è aumentata molto nei mesi e potrà essere raggiunta sempre di più dopo l’immunizzazione dei medici”.
Ma come si tratta al meglio un malato Covid a casa? E’ rischioso? Può peggiorare da un momento all’altro? Anelli assicura di no: “Un’insufficienza respiratoria acuta improvvisa è molto rara. In genere la saturazione peggiora in modo molto graduale e si può monitorare benissimo con un saturimetro”. Con un quadro respiratorio normale o leggermente affaticato, ma non preoccupante, “una telefonata o più messaggi Whatsapp al giorno bastano e non devono destare allarme”, spiega il dottore. “Molti medici di base si sono ammalati e alcuni sono morti uccisi dal virus. Spogliarsi per strada in ambienti non adeguati, non poter fare una doccia subito dopo, visitare un paziente con dotazioni di protezione individuali incomplete sono tutti fattori che aumentano il rischio di contrarre il virus”.
Quanto al trattamento, farmaci e tempistiche sono stabilite dal protocollo che il presidente del Consiglio superiore di sanità e membro del comitato tecnico scientifico, Franco Locatelli, ha redatto a novembre insieme ai medici di base. “Non abbiamo grandi farmaci da impiegare contro il Covid – osserva Anelli - Per i pauci sintomatici bisogna utilizzare anti-infiammatori e paracetamolo per trattare la sintomatologia che genera ansia preoccupazione nei positivi”. Diverso è l’approccio per i pazienti che sviluppano la tosse: “Devono essere sorvegliati in modo più attento perché possono peggiorare al punto da rendere necessario il ricovero. Sui malati con tosse si possono utilizzare i cortisonici ma è fondamentale monitorare la respirazione con il saturimetro. Se tende a scendere sotto i 95 conviene che il medico faccia fare il test del cammino, che consiste in una passeggiata nella stanza di 3-5 minuti. Poi si rimisura la saturimetria per vedere se tende ad abbassarsi. Se scende ancora, il medico può coinvolgere le Usca - Unità Speciali di Continuità Assistenziali per una valutazione clinica più approfondita anche in base all’età e alle patologie del paziente. Se la saturazione scende sotto i 92 è necessario il ricovero”.
Per Scotti, il protocollo “è troppo rigido per quanto riguarda la durata delle ore di febbre per il controllo domiciliare. Dopo 72 ore il medico può intervenire ma se all’altro lato della cornetta ho un giovane perché intervenire? Se invece, come mi è successo, ho una paziente anziana con diabete vado a casa sua anche dopo 48 ore”. Anche per Scotti è raro che il quadro di un paziente possa precipitare all’improvviso: “Se ci sono evoluzioni è previsto anche l’uso dell’eparina, dell’ossigeno, dell’antibiotico se si rivelano caratteristiche di infezioni batteriche. Ma si procede per fasi”.
In soccorso dei medici (e dei pazienti) stanno arrivando anche dei piccoli ecografi portatili. “Alla Fimmg ne hanno donati 50 - racconta Scotti - Si tratta di una piccola sonda ecografica, già settata sulla visualizzazione del polmone, che si collega all’ingresso del caricabatterie del telefonino e permette di visualizzare l’organo sullo schermo del cellulare attraverso un programma che consente anche al medico di essere in contatto con uno specialista che ha un puntatore sulle immagini”.
Oggi una cinquantina di medici di base stanno utilizzando questo ecografo da circa 7000 euro. “In tutto saranno un centinaio i dottori di medicina generale che usano questo strumento o altri simili”. Non certo un numero considerevole se si pensa che in Italia ci sono 40 mila medici di base. Ma Scotti non si da per vinto e punta alla prossima sfida: gli anticorpi monoclonali a domicilio. “La somministrazione dei monoclonali proprio per le caratteristiche che sono state evidenziate (devono essere impiegati nella fase iniziale della malattia) dovrebbe coinvolgere da vicino proprio la medicina generale, magari affiancandola ad altre figure che gestiscano dosi e modalità di utilizzo”.