AGI - Con l’operazione ‘Minerva’, i finanzieri del Comando provinciale di Firenze e dello Scico, nell’ambito dell'azione coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Firenze hanno svelato un sistema di infiltrazione mafiosa nel tessuto economico-imprenditoriale della Toscana che agiva attraverso l’attività illecita di 23 società edilizie e immobiliari. Importante il bilancio: 34 misure cautelari nei confronti di altrettante persone accusate di essere legate al clan camorristico dei 'Casalesi', in particolare alla fazione del boss Michele Zagaria. I reati finanziari si concentravano, in particolare, nelle province di Firenze, Pistoia e Lucca.
Le misure disposte del Gip di Firenze, Federico Zampaoli, quasi tutte eseguite in Campania, prevedono per 4 indagati il carcere, per 6 i domiciliari. Ma anche 9 obblighi di dimora e 15 interdizioni personali con divieto di svolgimento dell’esercizio di impresa, oltre al sequestro preventivo di beni e disponibilità pari a 8,3 milioni di euro. I reati contestati sono di associazione a delinquere, riciclaggio, autoriciclaggio e reimpiego di denaro, intestazione fittizia di beni e l’emissione di fatture per operazioni inesistenti con l’aggravante di aver favorito un’associazione mafiosa.
“Si trattava di una holding che si dedicava al subappalto di manodopera, frode fiscale e riciclaggio con investimenti considerevoli nel territorio, anche nelle opere pubbliche”, spiega il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo. Gli indagati attraverso questo sistema illecito avrebbero così guadagnato oltre 3,5 milioni di euro.
Le indagini sono partite dagli investimenti immobiliari e commerciali effettuati nel 2016 nella provincia di Siena da due commercialisti campani affiancati da un architetto fiorentino, originario del casertano, ritenuti vicini alla fazione del boss Michele Zagaria del clan camorristico dei ‘Casalesi’. L’uomo di collegamento, vicino a Zagaria per motivi di parentela era Giuseppe Diana, al momento ai domiciliari.
Secondo quanto emerso dalle indagini, “gli imprenditori edili vincevano la concorrenza per l’appalto dei lavori in modo sleale, perché avevano il vantaggio di non pagare tasse e contributi oltre a pagare in nero i lavoratori”, spiega il tenente colonnello Gianluca Simonetti della Guardia di Finanza di Firenze.
Successivamente, le Fiamme Gialle, partendo da un flusso di pagamenti relativi all’esecuzione di lavori subappaltati hanno scoperto un sistema di false fatturazioni che servivano a coprire cospicui e continui bonifici in uscita dalle aziende di costruzione. I conti corrente di queste venivano poi svuotate da “bancomattisti prelevatori”, persone prossime alla soglia di povertà, alcune dei quali beneficiarie del reddito di cittadinanza, che venivano pagate con una quota del 2-3% sui prelievi effettuati.
“Questo sistema nell’ambiente mafioso era considerato innovativo, grazie a una copertura formale discretamente ineccepibile”, aggiunge il generale Fabrizio Nieddu, comandante provinciale della Guardia di Finanza di Firenze. Nel corso della pandemia, inoltre, alcune delle 23 attività imprenditoriali coinvolte nel sistema illecito avevano chiesto e ottenuto i contributi a fondo perduto previsti dal dl Rilancio e dal dl Liquidità. “Bisogna evitare che in questa fase di crisi della pandemia si insinui nel tessuto imprenditoriale un’economia opaca”, conclude il generale Bruno Bartoloni, comandante regionale della Guardia di Finanza della Toscana.