AGI - “Non c'è niente che sia divertente per tutti, ovunque”. Così scriveva Sophie Scott, professoressa di neuroscienze cognitive presso l’University College London ed esperta di umorismo, il 15 Marzo 2020. Sulla percezione dell’umorismo ispirato dalla pandemia di Coronavirus si sapeva però ancora pochissimo.
Un gruppo di ricerca della Scuola Universitaria Superiore IUSS Pavia che include i dottori Luca Bischetti e Paolo Canal e la professoressa Valentina Bambini ha indagato l’apprezzamento dell’umorismo legato al Covid-19 e analizzato quali sono i fattori di personalità che lo regolano. I risultati dello studio sono stati recentemente pubblicati sulla rivista scientifica Lingua.
Meno voglia di ridere tra gli over 65
Dalla ricerca, che ha coinvolto 1751 partecipanti distribuiti su tutto il territorio italiano, emerge che l’umorismo legato al Coronavirus è percepito come più disturbante, soprattutto con l’avanzare dell’età. Questo risultato mostra come per le fasce a più alto rischio, ossia gli over 65, la reazione associata a questo tipo di umorismo sia una sensazione di fastidio più forte.
Tra i tipi di umorismo legato al Covid-19, invece, i dati hanno rivelato che i meme sono percepiti come più divertenti rispetto alle battute puramente verbali. Sembra quindi che il nesso tra immagine e parola sia in grado di evocare emozioni più forti per quanto riguarda i livelli di comicità, aiutando a scavalcare il fastidio richiamato dalle tematiche più tetre.
Inoltre, la capacità di usare l’umorismo come strategia per superare i momenti di difficoltà si è rivelata un tratto di personalità in grado di promuovere le sensazioni positive e di ridurre il potenziale disturbante che scaturisce dalla comprensione degli elementi spiritosi legati al Coronavirus.
La sensazione di essere esposti al contagio amplifica le emozioni
Anche la sensazione di essere maggiormente esposti al contagio ha contribuito ad amplificare le emozioni di disturbo associate alle battute a ai meme legati al Covid-19. Nel complesso, lo studio contribuisce a chiarire come le implicazioni della pandemia vadano ben oltre gli aspetti clinici, colpendo anche la sfera della comunicazione sociale e in particolare le interazioni sui media.
“Ma non ci fermiamo qui” dicono i ricercatori: “Durante l’estate e in questa nuova fase di incremento dei contagi proseguono le condivisioni di battute, vignette, e meme legati alla pandemia sui social media. Nelle prossime settimane, lanceremo quindi la seconda parte dello studio che indagherà se e come l’apprezzamento dell’umorismo ispirato al Coronavirus è mutato rispetto alla prima fase della pandemia, insieme all’influenza di altri fattori personali, per esempio in relazione al numero di familiari e amici colpiti dal virus o alla paura del contagio da Covid-19.”
Per seguire gli sviluppi della ricerca o contattare i ricercatori coinvolti, è possibile seguire i profili Facebook e Twitter del progetto (@umorismovirale).