AGI - Da Milano a Roma, passando per Prato la comunità cinese in Italia teme la seconda ondata del coronavirus più della prima. Lo scorso inverno nessun connazionale era stato trovato positivo, oggi i contagiati sono oltre 50. Per sbattere la porta in faccia al virus, i cinesi si armano di mascherina - sorprendendosi dell'allergia degli italiani a indossarla - rispettano il distanziamento, evitano di uscire e assumono 3 volte al giorno un miscuglio di erbe, rimedio della medicina tradizionale. L'AGI ha parlato con i maggiori rappresentanti delle comunità cinesi in Italia.
A Roma il timore è maggiore della prima ondata
La seconda ondata dell'epidemia di coronavirus spaventa la comunità cinese di Roma, uscita indenne dalla prima. "A marzo eravamo più impreparati perché il virus ci ha colti di sorpresa, ma questa volta abbiamo dei connazionali tra i contagiati", spiega all'AGI Lucia King, portavoce della comunità cinese a Roma e presidente del comitato per l'emergenza coronavirus della capitale. Il numero esatto non c'è ma, afferma King, "finora sono oltre 50 i cinesi positivi. Arrivano segnalazioni da tutte le comunità cinesi in Italia. La seconda ondata fa più paura della prima perché il virus si sta espandendo". Anche "qui all'Esquilino ci sono stati i primi contagi e il risultato è stato che diversi negozi aperti da poco hanno chiuso l'attività. In totale dall'inizio dell'epidemia più di un terzo dei ristoranti cinesi di Roma ha abbassato per sempre le saracinesche".
Intanto i cinesi di casa a piazza Vittorio, ma anche nel resto della capitale, osservano attentamente le regole anti-Covid. "Siamo rigidissimi. Lo siamo sempre stati, sin dallo scorso gennaio", prosegue King. "Il cinese adora l'assembramento: banchetti, cene, ogni forma di aggregazione. Ma da febbraio abbiamo sospeso tutti gli eventi. Alcuni hanno chiuso anche le attività in attesa di tempi migliori. Noi cinesi siamo molto cauti. Evitiamo di prendere voli e di tornare in Cina. Non è vietato, basta osservare 14 giorni di quarantena, di cui 7 in alberghi indicati dal governo e 7 a casa propria, ma ora non è il caso di muoversi". Disciplina anche tra i più giovani: "Io ho due ragazzi che frequentano le superiori. La mattina vanno a scuola e poi tornano a casa. Gli amici li 'incontrano' sul cellulare e sul pc", racconta Alessia Jiang, direttrice di un'associazione di cultura cinese che collabora anche con l'Istituto Galileo Galilei. "I cinesi evitano di uscire, ma tutti gli altri no, si vive come se non ci fosse nulla e questo ci spaventa molto", continua.
"Noi abbiamo sospeso tutti i corsi di lingua cinese in presenza - aggiunge Jiang -. Ne facciamo alcuni online, ma sono pochi perché diverse famiglie degli alunni iscritti in precedenza sono tornate in Cina. Non so se in maniera definitiva, di sicuro staranno li' per questo lungo periodo di pandemia". Quello di Jiang è una sorta di doposcuola che impegna bimbi e ragazzi cinesi dopo le lezioni negli istituti statali italiani. E per i nativi italiani è un'opportunità per imparare di più sulle loro origini.
"Molti genitori mi hanno chiesto consigli sul fatto di mandare o no i figli a scuola. Hanno paura dei contagi, ma io consiglio sempre di farlo. Non si puo' trascurare la scuola", sottolinea. Nel frattempo si procede con le regole arcinote: distanziamento, lavaggio delle mani e mascherine. Ma con una dritta in più: "Un rimedio che arriva dalla medicina tradizionale cinese: un miscuglio di erbe che rafforza il sistema immunitario", suggerisce King. Una 'pozione magicà che "assumiamo tre volte al giorno e che hanno utilizzato anche a Wuhan".
Dalla comunità cinese di Roma arriva anche un consiglio agli italiani: "Credete nelle mascherine", è l'appello della portavoce. "Le manifestazioni contro le mascherine non hanno senso. Si ripete la stessa storia della cintura di sicurezza: quando divenne obbligatoria nessuno la voleva mettere, anche allora c'erano i detrattori. Poi è diventata un'abitudine. Nessun cinese esce di casa senza la mascherina. L'ambasciata e le associazioni raccomandano di usarla ma non serve nemmeno, lo facciamo già".
Sono scemati anche la diffidenza e gli episodi di razzismo nei confronti dei cinesi: "Finalmente non subiamo più discriminazioni. E dico anche all'America che è inutile attaccarci. Prima o poi la verità verrà fuori". Lucia King è ottimista: "Se ce l'ha fatta la Cina con un miliardo e 400 milioni di persone, ce la farà anche l'Italia".
A Prato soffre il tessuto produttivo
"Nella comunità cinese di Prato oggi c'è grande preoccupazione. Ovviamente varia da persona a persona, ma tre settimane fa sono comparsi i primi casi di contagio e la paura è cresciuta. Nella prima ondata, complice un lockdown scrupoloso e l'applicazione di ogni precauzione, non c'erano stati contagi; ma oggi i primi casi sono vissuti con grande ansia". Così Marco Wong, consigliere comunale pratese eletto lo scorso anno nella lista del sindaco Matteo Biffoni, parlando con AGI della nuova ondata di pandemia. "Ci sono cittadini cinesi - afferma Wong - che preoccupati per l'evoluzione della pandemia sono tornati in Cina o stanno considerando di rientrare. Lì oggi la situazione è normale; ricompaiono dei focolai di tanto in tanto ma i numeri sono molto bassi. Così anche dall'Italia c'è chi vuole tornare in Cina, pur affrontando difficoltà, perché per chi arriva dall'estero oggi sono necessari il tampone e la quarantena".
La situazione del virus in Cina oggi è molto migliorata e tornata quasi alla normalità, spiega Wong, ma questo anche perché "ci sono pratiche e disposizioni applicate in Cina che in Italia non sarebbero state possibili. Una delle ragioni per cui là sono usciti prima dalla pandemia è perché il lockdown è stato molto più rigido e il sistema di tracciamento più efficace, ma parliamo di un contesto sociale diverso e sarebbe stato improponibile adottare misure simili qui, perché ogni Paese ha le sue particolarità culturali e sociali".
La lunga lotta al virus ha avuto conseguenze anche sulla realtà produttiva della comunità cinese di Prato: "Il contraccolpo più forte - aggiunge il consigliere comunale - è stato avvertito soprattutto da chi lavora per i grandi eventi, come i ristoranti che servivano la comunità per i matrimoni e le feste, che oggi sono in grande difficoltà. Cosi' come i servizi, gli organizzatori di eventi, le agenzie di viaggio, che vivono le stesse difficoltà dei colleghi italiani". Anche nel settore alimentare si sono sentiti gli effetti della pandemia, soprattutto i ristoranti, mentre "chi rifornisce negozi, e gli stessi negozi cinesi di casalinghi hanno proseguito l'attività, nelle stesse condizioni di fornitori e negozianti italiani".
Discorso a parte per il settore moda, fiore all'occhiello della produzione pratese: "Le fabbriche di abbigliamento - conclude Wong - stanno riprendendo l'attività e si stanno organizzando per superare le difficoltà legate ai rapporti con l'estero, visto che agenti, compratori e clienti non possono viaggiare, e ci sono problemi con gli acquisti dalla Cina. Ma il settore sta riprendendo a lavorare".
Dice all'AGI Teresa Lin, 24 anni, consigliera comunale pratese nata in Italia da una famiglia cinese e laureata negli Usa: "A febbraio-marzo tutti quanti erano attenti, era l'inizio della pandemia e la preoccupazione era sentita. Poi in Italia dopo il lockdown i numeri si sono abbassati e le persone hanno iniziato a uscire di nuovo; oggi che i numeri sono tornati a crescere abbiamo smesso di uscire e di partecipare agli eventi, ora c'è solo casa e lavoro. E grandissima attenzione all'uso di mascherine e gel".
La comunità cinese di Prato, tra le più importanti d'Italia, affronta la pandemia con attenzione: nella prima fase, a febbraio, il rigorosissimo rispetto delle norme ha evitato che il virus si diffondesse, e anche i rientri in Italia dalla Cina, seppur visti inizialmente con grande preoccupazione, non hanno portato a casi positivi.
Oggi la situazione si è invertita e la Cina sembra essere un Paese più sicuro: "Mia madre era tornata in Cina a luglio per alcuni impegni - afferma Lin - e oggi vista la situazione come altri concittadini ha deciso di restare là, almeno per il momento. In Cina la situazione è migliore, hanno smesso di portare la mascherina e durante le vacanze di metà autunno, all'inizio di ottobre, c'è stata anche una ripresa dei viaggi interni".
In Toscana i contagi continuano a restare alti: ieri sono scesi sotto i 500 casi che erano stati invece quotidianamente superati nei giorni scorsi, e la preoccupazione c'è. "Vediamo se i numeri continuano ad aumentare - aggiunge Lin - e dobbiamo prestare la massima attenzione per vedere se riusciamo a controllare la diffusione". Una questione che riguarda ugualmente tutti, cinesi e italiani. "Ci vuole responsabilità di ognuno e il massimo rispetto delle regole - conclude la consigliera comunale pratese -: l'uso di mascherine e il rispetto della distanza di sicurezza. Se applichiamo attentamente queste regole la situazione non peggiorerà".
La comunità di Milano ha preso cautele già prima del dpcm
La comunità cinese di Milano "è preoccupata e, di fatto, sta già seguendo da molto tempo prima che venissero introdotte, le regole imposte dall'ultimo Dpcm". Lo dice all'AGI Francesco Wu, rappresentante degli imprenditori stranieri nella Confcommercio milanese e uno dei personaggi piu' carismatici della comunità cinese di Milano. Un sentimento tangibile in via Sarpi, dove sulle vetrine, spesso con in bella mostra mascherine di tutte le fogge, sono appiccicati piu' fogli con raccomandazioni di prudenza che nel resto della città.
"Si evita di incontrarsi - spiega Wu - poche le visite in casa, zero le feste, i compleanni. Si pensa al lavoro in modo sobrio. Tanti negozianti utilizzano le mascherina Fp2 invece di quelle chirurgiche. Questo aumenta la percezione di sicurezza".
Uno degli argomenti più trattati tra gli abitanti cinesi di Milano, aggiunge Wu, "è quello della scuola, sia per il timore che i bambini si contagino in classe e diffondano il contagio agli adulti, sia perché una delle prospettive potrebbe essere quella della chiusura delle scuole con le ricadute sui genitori che lavorano". Finora, il 'sistema' imprenditoriale cinese ha dato prova di grande resistenza rispetto agli effetti della pandemia. "Hanno chiuso le loro attività in pochissimi, le imprese cinesi sono a carattere familiare, quindi sono più solide. Inoltre, la mentalità cinese è contadina, dedita al risparmio, il che ha permesso di creare degli 'ammortizzatori sociali'.
"Cerchiamo di stare tranquilli, di essere rigorosi ma di vivere una vita il più possibile normale - dice Silvia, parlando dalla cassa, dietro lo schermo in plexiglass di una delle macellerie più note di via Sarpi - in ogni caso siamo pronti a far fronte a una nuova emergenza, ora sappiamo come si fa, per esempio con le consegne a domicilio saremmo più preparati".
Lo 'storico' centro culturale cinese della strada simbolo della Chinatown meneghina ha fatto invece una scelta più drastica. "Abbiamo deciso di chiudere per precauzione", spiega una donna che apre la porta facendo intravedere il vuoto in uno dei luoghi più vivaci della città dove si organizzano corsi di lingua, scacchi cinesi, kung-fu e molto altro.