AGI - Sono state chiuse le indagini sulla filiale italiana di Uber Eats, i cui manager sono accusati di caporalato, dopo che gli inquirenti della procura di Milano hanno rivelato che i rider venivano “pagati 3 euro l’ora”, “depauperati delle ritenute d’acconto che venivano operate ma non versati” e sottoposti “a condizioni di lavoro degradanti, con un regime di sopraffazione retributivo e trattamentale”.
Le parole sono dello stesso sostituto procuratore Paolo Storari, che nell’avviso di chiusura indagini, ha riportato alcune frasi delle intercettazioni che hanno portato (a luglio) al commissariamento dell’azienda Uber Italy e ad indagare alcuni manager interni e gli amministratori di due società esterne di reclutamento di personale, che fornivano alla filiale italiana del colosso americano.
Per gli indagati si va quindi verso la richiesta di rinvio a giudizio con accuse pesanti di caporalato.
Tra le figure interne emerge quella di Gloria Bresciani: “Abbiamo creato un sistema per disperati…ma i panni sporchi si lavano in casa”, diceva al telefono.
Tra gli indagati anche Danilo Donnini e Giuseppe e Leonardo Moltini, amministratori della Flash Road City Srl e della Frc Srl, società che trovavano e gestivano il personale - quasi sempre si trattava di ragazzi immigrati in attesa di protezione umanitaria - e che in base alle indagini hanno anche evaso il fisco per oltre 315mila euro (tra i Iva e imposte sui redditi).
Si approfittava dello stato di bisogno soprattutto degli immigrati
Tutti gli indagati secondo l’accusa “approfittavano dello stato di bisogno dei lavoratori, migranti richiedenti asilo dimoranti nei centri di accoglienza straordinaria, pertanto in condizione di estrema vulnerabilità e isolamento sociale” e li destinavano al lavoro per il gruppo Uber “in condizioni di sfruttamento”.
Giovani derubati delle mance
Nella maggior parte dei casi si trattava di giovani provenienti da Mali, Nigeria, Costa d'Avorio, Gambia, Guinea, Pakistan, Bangladesh, i quali, secondo il pm, venivano “derubati” delle mance che i clienti lasciavano loro spontaneamente e “puniti” attraverso “una arbitraria decurtazione (“malus”) del compenso pattuito, se non si fossero attenuti alle disposizioni impartite”.
I reati (a cui si aggiungono anche fatture per operazioni inesistenti) sono contestati fino al novembre 2019. Giuseppe Moltini insieme a Miriam Giraldi (amministratrice di una delle due società) sono accusati anche di frode fiscale, perché hanno depositato in una cassetta di una banca in via Lorenteggio a Milano 305mila euro (considerati provenire dall’attività illecita), di cui una parte veniva caricata nel baule dell’auto, per sottrarla al provvedimento di sequestro che di lì a poco sarebbe scattato.
La posizione di Uber Italy, in quanto società, inizialmente coinvolta per la legge 231 sulla responsabilità amministrativa, è stata stralciata; è prevista per il 22 ottobre in questo caso l’udienza davanti alla sezione autonoma Misure di Prevenzione del Tribunale per discutere del provvedimento di commissariamento.
La Cgil: serve una riflessione collettivasulle condizioni di lavoro
.Dura la presa di posizione della segretaria confederale della Cgil, Tania Scacchetti. “Una condizione inaccettabile che richiama a una riflessione collettiva sulle generali condizioni di lavoro, a partire dal tema dei diritti dei ciclofattorini, tra i quali la sicurezza e un compenso dignitoso, così come noi chiediamo da tempo”.